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La finanza può fare di più per la biodiversità

Laurent Ramsey, Managing Partner del Gruppo Pictet
Laurent Ramsey, Managing Partner del Gruppo Pictet
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A cura di Laurent Ramsey, Managing Partner del Gruppo Pictet

07.11.2022

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  • Con il vertice dell’ONU sulla biodiversità COP15, che si terrà a Montreal, Canada, a dicembre, la politica mondiale vuole assumersi l’impegno di proteggere la natura. Ma anche il settore finanziario può e deve fare di più
  • L’OCSE stima che gli investimenti in biodiversità ammontino a meno di 100 miliardi di dollari l’anno, contro i 632 miliardi impiegati nella lotta al cambiamento climatico
  • L’Institute of International Finance suggerisce che l’emissione di obbligazioni per finanziare progetti legati all’uso sostenibile del territorio potrebbe raggiungere un ritmo di 4,5 mila miliardi di dollari l’anno entro il 2025
  • Tra i fondi lanciati per proteggere l’ecosistema naturale, 9 su 11 hanno fatto il loro debutto a partire dal 2020. Le masse in gestione Pictet Asset Management su questo fronte sono raddoppiate da 525 milioni di dollari all’inizio del decennio agli attuali 1,3 miliardi
  • Pictet AM è tra i membri fondatori del progetto Finance to Revive Biodiversity (FinBio), volto ad aiutare il settore finanziario a sviluppare strategie per la protezione della biodiversità

Negli ultimi 30 anni, la prosperità umana è cresciuta più che in tutti i secoli passati. Abbiamo costruito strade, ponti, edifici, macchine; viviamo più a lungo e godiamo, nella maggior parte dei casi, di un welfare evoluto e di una solida educazione. Dal 1820, il PIL pro capite medio è cresciuto di oltre 15 volte. Più del 95% dei neonati arriva al quindicesimo anno d’età: nel diciannovesimo secolo era solo uno su tre.

Tutto questo progresso, però, ha avuto un prezzo enorme: se è vero che, da millenni, lo sviluppo umano si è concentrato sul consumo del capitale naturale come cibo, aria pulita, acqua e suolo fertile, in questi ultimi tre decenni le risorse sono state utilizzate a un ritmo più rapido di quanto necessario per reintegrarle: gli uomini consumano più risorse naturali di quelle che la Terra è in grado di rigenerare naturalmente in un periodo di 12 mesi, riducendone la disponibilità per le generazioni future. L’umanità sta portando all’estinzione le specie animali e vegetali, distruggendo il loro habitat per nutrire la popolazione in continua crescita.

Per mettere fine a questo rapporto insostenibile è necessaria una comprensione più approfondita dell’impatto che il mutamento della biosfera può avere sul benessere umano e sul suo contributo alla crescita economica. I policymaker considerano ormai la protezione della biodiversità una priorità tanto urgente quanto il mettere un freno al riscaldamento globale.  Il vertice dell’ONU sulla biodiversità COP15, che si terrà a Montreal, Canada, a dicembre, sarà il più importante evento del suo genere del decennio; l’obiettivo sarà trovare un accordo sull’impegno da assumere a protezione della natura per il 2030. Tali sforzi, però, non andrebbero limitati alla sfera politica. Anche la finanza può e deve svolgere un ruolo più attivo. Gli investitori istituzionali, gestendo infatti grandi capitali in tutto il mondo, possono facilitare una transizione positiva per la natura, trasformando il modo in cui alloca il capitale alle imprese e sviluppando nuovi modelli per valutare in maniera più accurata i rischi e le opportunità legati alla biodiversità. Grazie agli investimenti indirizzati verso società che sviluppano tecnologie e servizi ambientali innovativi, il settore finanziario ha contribuito a migliorare l’efficienza in ogni ambito, dall’uso dell’energia all’agricoltura, dal commercio ai trasporti. Ad esempio, con lo sviluppo dell’agritech, il mondo è oggi in grado di produrre sullo stesso appezzamento di terra una quantità di cereali pari quasi a tre volte quella prodotta nel 1961. Il tasso con cui la resa media di cereali è migliorata è stato superiore a quello della crescita della popolazione. Tuttavia, la maggior parte degli investimenti tradizionali confluisce in attività economiche esistenti che, sia in modo consapevole che inavvertitamente, causano danni ambientali e sociali. Il settore finanziario, quindi, deve mettere tutto se stesso nello sforzo globale teso a ridurre i danni e, al contempo, accelerare la ripresa della natura.

I nuovi rischi per società e investitori

La biodiversità si contende con il cambiamento climatico la corona di preoccupazione ambientale predominante. Per questo motivo, è probabile che le autorità di regolamentazione e policymaker introducano nel tempo sempre più tasse, permessi e compensazioni correlati alla biodiversità e che integrino il capitale naturale nelle statistiche economiche nazionali, tra cui la rilevazione sul PIL. Attraverso la comprensione delle diverse minacce che la perdita di biodiversità pone alle aziende, gli investitori possono iniziare a dare un prezzo esatto a tali rischi, identificare le lacune nell’attuale modello ESG e scoprire nuovi modi per investire nel capitale naturale. Aziende e investitori, infatti, hanno bisogno di una comprensione più chiara dei rischi che il venir meno della biodiversità presenta per i loro bilanci e i loro portafogli. Le minacce non sono solo fisiche, ma anche normative, legali e reputazionali.

Fig. 1 – Tassare il problema

Numero di imposte correlate alla biodiversità


Fonte: Database OCSE PINE

Il ruolo chiave della finanza

Anche se le aziende e gli investitori faranno progressi nel cercare di comprendere quale sia il loro impatto e in che modo la biodiversità impatti a sua volta su di loro, tali sforzi non arriveranno a nulla se non saranno accompagnati da una rivoluzione riguardante il capitale che si lega alla biodiversità.

L’OCSE stima che gli investimenti volti a proteggere la biodiversità ammontino attualmente a meno di 100 miliardi di dollari l’anno, una somma modesta se paragonata ai 632 miliardi impiegati nella lotta al cambiamento climatico. Le opportunità di crescita restano enormi: secondo una ricerca condotta dalla Food and Land Use Coalition, gli sforzi per integrare pratiche sostenibili nell’attuale mercato del cibo e del suolo, rivoluzioneranno le catene del valore e apriranno a nuovi modelli di business. Nel rapporto si stima che una tale trasformazione potrebbe creare un mercato della biodiversità del valore di 4.500 miliardi di dollari entro il 2030.

Negli ultimi anni sono notevolmente aumentati gli investimenti in biodiversità che hanno l’obiettivo di minimizzarne la perdita, garantendo una crescita di capitale nel lungo periodo. È un trend già evidente nel mercato obbligazionario. Sempre l’OCSE stima che siano stati emessi 4-5 miliardi di dollari in obbligazioni per finanziare progetti legati all’uso sostenibile del territorio, che possono apportare benefici alla biodiversità. Anche gli strumenti a reddito fisso ideati per finanziare progetti sostenibili nel settore marino e della pesca – blue bond – stanno guadagnando terreno. E il mercato delle obbligazioni sostenibili continuerà a crescere: una ricerca condotta per Pictet Asset Management dall’Institute of International Finance suggerisce che l’emissione potrebbe raggiungere un ritmo di 4.500 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, rispetto a poco più di mille miliardi di dollari nel 2021. A ciò si aggiunge che più di 100 istituzioni finanziarie – che insieme gestiscono circa 14 mila miliardi di euro di attività in 19 Paesi – hanno già firmato un impegno a proteggere e ripristinare la biodiversità attraverso le loro attività finanziarie e investimenti. Gli obiettivi comprendono il coinvolgimento delle imprese, la valutazione dell’impatto delle loro attività di finanziamento e degli investimenti e la divulgazione annuale dei contribuiti agli obiettivi globali su biodiversità.

Il mondo dell’asset management sta cominciando a offrire diverse opzioni di investimento a favore della biodiversità. Tra i tanti fondi lanciati per proteggere l’ecosistema naturale, 9 su 11 hanno fatto il loro debutto a partire dal 2020. Per quanto riguarda Pictet Asset Management, le masse in gestione investite su questo fronte sono raddoppiate da 525 milioni di dollari all’inizio del decennio agli attuali 1,3 miliardi. Siamo anche membri fondatori di un nuovo programma di ricerca, Finance to Revive Biodiversity (FinBio) condotto da Stockholm Resilience Centre dell’Università di Stoccolma e la Swedish Foundation for Strategic Environmental Research che durerà 4 anni ed è volto ad aiutare il settore finanziario a sviluppare strategie per la protezione della biodiversità. Con questo progetto, vogliamo concentrarci sullo sviluppo di nuovi parametri per calcolare la perdita di biodiversità e misurarne l’impatto economico; incorporare la biodiversità nelle attività di engagement attivo con le aziende; valutare le prospettive di investimento positive per la natura e identificare tecnologie e strumenti economici per la salvaguardia del capitale naturale. Sviluppando il fiorente mercato legato al capitale naturale, gli investitori possono avere un impatto positivo concreto e le aziende possono capire i rischi legati alla perdita di biodiversità su bilanci e portafogli. Il settore finanziario (banche, gestori patrimoniali e investitori) ha ignorato troppo a lungo la minaccia che la perdita di biodiversità rappresenta per la prosperità e la crescita umana. La natura è sempre stata il bene economico più importante. Ed è giunto il momento che il settore finanziario lo riconosca.

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