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Attacco di Hamas: tra geopolitica e mercati

Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte.
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A cura di Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte

L’attacco di Hamas ad Israele nel fine settimana ha colto di sorpresa non solo gli investitori, ma anche la stessa intelligence israeliana.

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Proviamo ad inquadrare il tema: per avere un metro di confronto, la striscia di Gaza si estende su un territorio pari a circa due volte quello del comune di Milano, con quasi 2 milioni di abitanti e un’età media di 18 anni (anche se almeno il 40% degli abitanti ha addirittura meno di 14 anni).

Quindi una popolazione giovane, nata in buona parte dopo la morte di Arafat (nel 2004), storico presidente della ANP (Autorità Nazionale Palestinese), di cui molti oggi tendono a non riconoscere più l’autorità. L’attacco di Hamas si è svolto utilizzando strumenti non tecnologicamente avanzati ma comunque capaci di bucare la rete di intelligence. Molti gli ostaggi dei palestinesi, il che rende più probabile che il contrattacco israeliano (mossa obbligata vista l’aggressione a sorpresa) possa risolversi in una guerriglia, che in parte potrebbe svolgersi nei lunghi cunicoli che Hamas ha scavato sotto la striscia di Gaza, denominati “metrò”.

Questa la breve premessa cui può essere opportuno aggiungere ulteriori considerazioni. L’attacco è arrivato mentre erano in corso da diverso tempo colloqui tra Arabia ed Israele con la partecipazione degli USA, allo scopo formale di arrivare al riconoscimento di Israele da parte dell’Arabia. In cambio l’Arabia cercava di ottenere maggiore garanzia di copertura delle sue esigenze di sicurezza — in vista anche del progressivo alleggerimento del coinvolgimento USA nella regione — oltre all’accesso alle tecnologie israeliane per lo sviluppo, tra l’altro, del nucleare ad uso civile. Il tutto nel contesto del piano arabo “Vision 2030”, che ha come obiettivo la riduzione della dipendenza dalle entrate provenienti dal petrolio.

Alla luce di queste premesse, qualche prima considerazione:

  • L’attacco di Hamas mette in discussione il potenziale accordo arabo-israeliano, mettendolo quantomeno per il momento in sordina.
  • Il contrattacco israeliano potrebbe risolversi in una guerriglia piuttosto lunga, con il rischio di un allargamento del conflitto ad altri attori, primo fra tutti l’Iran.

Queste considerazioni portano ad una prima implicazione sul fronte petrolio: negli ultimi giorni il prezzo del barile è calato in vista del rallentamento della domanda, come conseguenza, tra le altre cose, della contrazione della domanda USA per il venir meno da ottobre di diversi fattori di supporto (ritorno del pagamento degli student loan, fine dei risparmi in eccesso, impatto del rialzo di tassi ed energia).

I fattori di tensione geopolitica, come, ad esempio, la possibilità che l’Arabia decida di estendere a parte del 2024 i tagli alla produzione ad oggi decisi fino a fine 2023, potrebbero ora aggiungersi ad altri fattori, la cui portata potrebbe quantomeno rallentare il calo del petrolio e/o porvi un supporto importante in termini di prezzo. Tra i fattori non geopolitici figura, ad esempio, la necessità Usa di ripristinare le scorte strategiche, arrivate al minimo dagli anni ’80.

Un altro impatto indiretto dell’acuirsi delle tensioni geopolitiche potrebbe essere un’accelerazione del raffreddamento macroeconomico prima citato, tale da accrescere anche per gli USA il rischio di una recessione nel 2024.

In sintesi, l’impatto della crisi in Israele potrebbe riguardare soprattutto due fronti: la durata della controffensiva e il particolare momento macro su cui si innesta. Al momento, quindi, si prefigura un’accelerazione del rallentamento macro già evidente in area Euro, che dovrebbe progressivamente coinvolgere anche gli Usa a partire da fine 2023, ma che potrebbe portare ad un risvolto positivo: l’aumento della domanda di bond, in vista dell’arresto e della potenziale inversione delle politiche monetarie. Si tratta di uno scenario importante anche per immaginare un più agevole processo di rifinanziamento da parte dei governi globali e soprattutto del comparto high yield Usa, in vista di scadenze crescenti nei prossimi trimestri e anni.

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