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Anemia: un problema clinico, sociale e di politica sanitaria

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Anemia

Verona, 10 settembre 2014 – La carenza di ferro è il disturbo nutrizionale più comune al mondo che colpisce 1,62 miliardi di persone a livello globale, ma è anche la causa più frequente di anemia, che rappresenta circa il 50% dei casi. E’ una patologia molto diffusa e si stima possa causare ogni anno oltre 800.000 morti, prevalentemente in Africa e in Asia. Ma l’anemia non è solo un problema dei Paesi in via di sviluppo. Esistono, infatti, evidenze che dimostrano come sia presente anche nel mondo occidentale compresa l’Italia. Ciononostante, si tratta di una problematica fortemente sottostimata e sotto trattata, tanto da diventare un grave problema di “salute pubblica”, oltre che un costo importante per la sanità regionale, incidendo su mortalità, ospedalizzazioni e qualità della vita di chi ne soffre.

Per questo è importante favorire la prevenzione e la diagnosi precoce della malattia, oltre che migliorare la gestione del paziente. Da qui la proposta dell’Associazione non-profit “Anemia Alliance”, nata lo scorso dicembre con lo scopo di promuovere la diffusione della conoscenza dell’anemia al fine di prevenirla, curarla e affrontare le relative complicanze e disabilità, fatta alla Regione Veneto di istituire un Gruppo di Lavoro interdisciplinare per la definizione di un percorso nella rete regionale dei servizi, che fornisca le necessarie garanzie di efficacia e continuità dell’assistenza sanitaria per il paziente con anemia.

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“L’anemia, a prescindere dall’eziologia, colpisce il 24,8% della popolazione globale (WHO, 2008), rappresentando, di fatto, la più frequente patologia al mondo – dichiara Robin Foà – Direttore dell’Istituto di Ematologia presso l’Università Sapienza di Roma, past-President della Società Europea di Ematologia (EHA) e Presidente di “Anemia Alliance” – La fascia di età percentualmente più interessata corrisponde ai bambini in età prescolare (47,4%); tuttavia le donne in età fertile sono, in assoluto, il gruppo di pazienti numericamente più importante (circa mezzo miliardo). Dal punto di vista geografico – continua Foà – l’Africa è il continente a più alta percentuale di anemia nella popolazione generale (47,5% – 67,7%), così come il più elevato numero in assoluto di anemici è presente nel sud Est Asiatico (315 milioni), ma il “Global WHO Anaemia Data Base” ci mostra come l’anemia sia un vero e proprio problema di salute pubblica, che non riguarda solo le nazioni più povere. Non esiste, infatti, alcun Paese in cui la problematica non sia presente, sia pur in modo limitato.”

Nonostante gli studi epidemiologici ed osservazionali riguardino principalmente i Paesi del terzo mondo, per quanto riguarda l’Italia, esistono dati relativi ad un campione rappresentativo di circa un milione di persone provenienti dal database di Health Search della SIMG (l’unico database della Medicina Generale validato a livello nazionale e internazionale).

“L’andamento della prevalenza dell’anemia sideropenica in Italia, secondo i dati di Health Search – dichiara Ovidio Brignoli, Vice Presidente SIMG – Società Italiana Medicina Generale – si dimostra crescente con l’aumentare dell’età e riveste particolare evidenza nella popolazione femminile nella fascia tra i 35 e i 54 anni (10%), che comprende le donne in età fertile e in fase pre-menopausale. Negli anziani (75-84 anni) il trend è sovrapponibile nei due sessi ( 5,7% nelle donne e 3,9% negli uomini). Nella popolazione con anemia sideropenica – continua Brignoli – il 59% dei soggetti è rappresentato da donne con età inferiore ai 55 anni, il 25% da donne con più di 55 anni e solo il 16% da maschi”.

Disaggregando i dati a livello regionale, si stima che, per quanto riguarda il Veneto, ci siano 183.000 pazienti con anemia sideropenica, pari al 4,4% della popolazione adulta, di cui circa 100.000 le donne in età fertile e oltre 40.000 anziani.
“La spesa sostenuta dalla Regione Veneto nel 2013 per prodotti contenenti ferro è stata di 1.340.000 euro – riferisce Giovanna Scroccaro, Responsabile del Settore Farmaceutico Regionale – distribuiti prevalentemente a livello territoriale, con il 70 % a carico della spesa in convenzionata e il rimanente utilizzato in regime di ricovero ospedaliero o distribuito dagli ospedali in distribuzione diretta.
Sempre nel 2013 – continua Scroccaro – 95.454 pazienti di età superiore ai 15 anni hanno ricevuto una prescrizione di ferro, con una prevalenza del 2,3%. La prevalenza nelle donne è 3 volte rispetto agli uomini (3,4 verso 1 %). La differenza si accentua nei giovani (3,9% F verso 0.3% M nell’età compresa tra 15 e 55 anni ), ma diventa invece simile – circa il 5.2% – nell’età anziana sopra i 74 anni. In linea con i dati di Health Search , il ricorso all’uso di preparati a base di ferro è più elevato nei pazienti che assumono FANS , così come nei pazienti che presentano tumore all’intestino (9 volte più elevato) o ulcera peptica (6 volte più elevato). Ciò a conferma che i pazienti che presentano queste caratteristiche sono più a rischio di sviluppare anemia e quindi di assumere ferro. Analogamente – conclude Scroccaro – anche il ricorso ad esami quali gastroscopie e colonscopie e’più frequente nei pazienti che assumono ferro”.

Il ferro non è solo una componente funzionale dell’emoglobina, ma è necessario anche per assicurare il funzionamento corretto di molte tra le più importanti vie metaboliche. Per questo motivo, la carenza di ferro e l’anemia sono gravi comorbilità, che insorgono frequentemente in diversi quadri clinici come, ad esempio, la malattia renale cronica, le malattie infiammatorie intestinali, lo scompenso cardiaco e anche nel corso di sanguinamenti uterini gravi e chemioterapia.

“I pazienti anemici soffrono spesso di un grado variabile di stanchezza, mancanza di concentrazione, maggior predisposizione alle infezioni e hanno una scarsa qualità di vita. Ciò – aggiunge Foà – si ripercuote negativamente sulla produttività e la capacità lavorativa. La gestione della carenza di ferro e dell’anemia ha come obiettivo l’apporto di adeguati quantitativi di ferro per normalizzare e mantenere livelli target di emoglobina, stimolando una corretta eritropoiesi e ricostituendo le riserve di ferro nell’organismo”.

Se, come si è detto, l’anemia è nel suo complesso un fenomeno sotto diagnosticato e sottotrattato, lo è in modo particolare nella popolazione anziana.

“L’anemia nell’anziano rappresenta un problema molto comune, dato che la sua prevalenza aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età – dichiara Domenico Girelli, Ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Verona e Coordinatore del locale Centro di Riferimento per le Malattie del Ferro — Ciò nonostante, tradizionalmente vi è sempre stata una forte sottovalutazione del problema da parte di medici, decisori istituzionali, e pubblico, che tendono a considerare il fenomeno come un fatto “para-fisiologico” (in altri termini “normale”), secondario ad altre malattie (infiammatorie, neoplastiche, renali, etc.), nella cui diagnosi e cura si investono maggiori impegno e risorse. A meno che i livelli di emoglobina circolante arrivino a valori allarmanti (sotto i 9-10 g/dl, considerando che i valori normali sono maggiori di 12-13 g/dl)”.

“Negli ultimi anni – continua Girelli – una serie di evidenze scientifiche concordi ha, invece, dimostrato che l’anemia nell’anziano ha di per sé un impatto primario sulla qualità di vita, favorendo il declino delle performance globali e cognitive, e anche sulla stessa sopravvivenza. Inoltre, è ormai chiaramente documentato che nel paziente ospedalizzato la presenza di anemia si associa, in modo indipendente, a un prolungamento della degenza, con le implicazioni individuali, sociali, ed economiche che ne conseguono. Essendo, poi, un problema non raramente legato a gravi patologie quali neoplasie dell’apparato gastroenterico, una diagnosi negli stadi iniziali di anemia può portare alla scoperta di tumori in fase di curabilità. Considerando che gli esami diagnostici di primo livello (assetto marziale e vitaminico) sono in genere semplici e poco costosi, ma ancora ampiamente sotto-utilizzati”.

“Alla luce di tutto quanto esposto – dichiara Luigi Giuliani, Farmacista Ospedaliero Regione Piemonte,
già Direttore del Dipartimento di Farmacia Clinica e Farmacologia dell’Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” di Novara – diventa cruciale e urgente aumentare la consapevolezza del problema dell’anemia, cercando di modificare la mentalità corrente che considera tale condizione “secondaria”. Vi sono evidenze oramai acclarate che l’anemia abbia un impatto pesante sulla qualità della vita di chi ne soffre e che, in presenza di altre patologie, riuscire a trattare questo problema aiuti a migliorare il quadro generale di salute del paziente. Per questo motivo – aggiunge Giuliani – a quasi un anno dalla sua costituzione, l’Associazione Anemia Alliance, nella sua opera di diffusione di conoscenze sull’anemia, ritiene sia importante stimolare iniziative volte all’approfondimento della patologia come problema clinico, sociale e di politica sanitaria. Da qui, la proposta alle Istituzioni sanitarie regionali del Veneto, realtà molto sensibile a questo tipo di tematiche, di definire un percorso diagnostico e terapeutico che porti innanzi tutto a una valutazione oggettiva di come sono gestiti questi pazienti oggi e quali sono i costi relativi per fornire le necessarie garanzie di efficacia e continuità dell’assistenza sanitaria. Sulla base di queste evidenze – conclude Giuliani – sarà, poi, possibile da parte dell’Associazione stessa fare proposte più ampie, come avviare programmi educazionali e di comunicazione, oltre che sostenere studi clinici, epidemiologici e di costo-efficacia correlati all’anemia, per contribuire al cambiamento dell’approccio alla malattia”.
MAggiori informazioni su allianceanemia.org

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