• Gli asset di rischio sono migliorati sulla scia del calo dei rendimenti dei Treasury della scorsa settimana
• I dati economici statunitensi sono contrastanti, ma riteniamo prematuro prevedere un indebolimento sostanziale
• I dati economici europei e britannici si stanno ammorbidendo e non è una sorpresa che le Banche Centrali abbiano lasciato i tassi invariati
• L’attività economica giapponese è sostenuta da una politica monetaria e fiscale di stimolo
(30 ottobre-3 novembre 2023) Dove porterà la settimana delle Banche Centrali?–Una settimana intensa di riunioni delle banche centrali ha visto irendimenti abbassarsi leggermente negli Stati Uniti e in Europa, ma aumentare in Giappone, data la diversa natura della posizione della politica monetaria nel contesto dell’attuale ciclo.
Negli Stati Uniti i dati economici sono più contrastanti. L’indagine JOLTS continua a suggerire che il mercato del lavoro sia in buona salute, mentre un dato più debole sull’ISM a 46,7 suggerisce che la domanda si stia raffreddando in diversi settori, il che sembra essere supportato da alcune evidenze aneddotiche che ci giungono dalle aziende.
Tuttavia, riteniamo sia prematuro prevedere un indebolimento sostanziale dell’attività economica. Dopo un trimestre di crescita economica molto forte nel terzo trimestre e con un’inflazione core ancora intorno al 4%, non sorprende che la Federal Reserve mantenga un orientamento restrittivo e, per certi versi, è stato solo il recente inasprimento delle condizioni finanziarie (grazie all’aumento dei rendimenti obbligazionari a lunga scadenza) a consolidare la conclusione di non procedere a ulteriori rialzi nella riunione di questa settimana.
In prospettiva, siamo propensi a vedere dati economici più morbidi e di conseguenza riteniamo che potremmo aver raggiunto il picco dei tassi sul fronte della Fed. Resta comunque un orientamento restrittivo e continuiamo a pensare che sia prematuro pensare a un allentamento della politica prima della seconda metà del 2024. Alla luce di questa view sugli Stati Uniti, per il momento continuiamo a considerare le contrattazioni sui tassi statunitensi più sotto l’aspetto tattico che strutturale.
In Europa, i dati economici sembrano indicare un ammorbidimento più evidente. I dati sul sentiment delle imprese continuano a scendere e, questa settimana, in Germania, hanno evidenziato una marcata debolezza delle vendite al dettaglio e un aumento della disoccupazione. Non crediamo che laBce continuerà ad aumentare i tassi di interesse, ma, come nel caso della Fed, riteniamo che il taglio dei tassi sia ancora lontano. Ci vorrà del tempo prima che l’inflazione scenda a livelli tali da indurre la Banca Centrale Europea a modificare la propria posizione.
Tuttavia, notiamo anche che il ritmo di contrazione del bilancio nell’Eurozona è più rapido che negli Stati Uniti. In questo contesto, il bilancio della Bce è già sceso da 8,7 trilioni di euro a 7 trilioni e scenderà a 6 trilioni l’anno prossimo. Alla luce di ciò, riteniamo che non sarà necessario terminare i reinvestimenti del PEPP prima del dicembre 2024, e che potrebbe anzi essere opportuno estenderli oltre tale data.
Anche i dati del Regno Unito sono in calo e quindi non è stata una sorpresa che la Bank of England abbia mantenuto i tassi invariati nella riunione di questa settimana.Nonostante l’inflazione sia superiore a quella delle altre principali economie, la BoE continua a dimostrare un orientamento dovish. Nei prossimi due mesi, potremmo assistere a effetti base che faranno scendere l’inflazione e l’attività economica probabilmente calerà ulteriormente.
A nostro avviso, qualsiasi mossa per prezzare tagli dei tassi nel Regno Unito potrebbe essere prematura. Temiamo che l’inflazione possa aumentare all’inizio del prossimo anno e che, alla fine, la BoE debba rialzare nuovamente i tassi nel 2024 per abbassarla. La necessità di ulteriori rialzi dei tassi potrebbe anche essere aggravata in caso di annuncio di ulteriori tagli fiscali da parte del governo britannico nel prossimo Budget.
Le finanze del Regno Unito sono in pessime condizioni, e il governo Tory si trova in una posizione piuttosto disperata. Intrinsecamente continuiamo a sottolineare che il rischio di stagflazione è un pericolo chiaro e presente nel Regno Unito, e manteniamo una visione ribassista sia sui Gilt sia sulla sterlina in un’ottica di medio termine.
In Giappone, invece, le prospettive economiche sono molto diverse. L’attività economica è sostenuta da una politica monetaria e fiscale di stimolo. Nel frattempo, l’inflazione continua a mantenersi al di sopra delle previsioni, facendo sì che i policymaker si affannino a rivedere le proiezioni al rialzo.
Alla luce di ciò, sembra che la Bank of Japan abbia commesso un errore di policy mantenendo una politica troppo accomodante per troppo tempo. Sembra, inoltre, che Ueda e colleghi abbiano trascurato il fatto che i tassi di interesse reali sono stati più negativi nel 2023 e che i tentativi di limitare i rendimenti hanno comportato un’espansione degli acquisti di asset, che hanno continuato a gonfiare il bilancio. Di conseguenza, il mercato ha esercitato una pressione per un aumento dei rendimenti, che è proseguita anche la scorsa settimana, nonostante rendimenti più bassi altrove.
Nel corso della riunione di politica monetaria, la BoJ ha effettivamente attenuato il suo impegno nei confronti del controllo della curva dei rendimenti, eliminando una banda di oscillazione dei tassi e lasciando intendere che avrebbe agito per acquistare obbligazioni su base più discrezionale nel caso in cui i rendimenti avessero superato l’1%. Riteniamo che questo sia un altro passo verso la normalizzazione della politica monetaria e adesso ci aspettiamo che venga eliminata la (politica dei tassi d’interesse negativi) in occasione della riunione della Bank of Japan di dicembre o a quella di gennaio.
Continuiamo a prevedere un aumento dei rendimenti decennali, con l’obiettivo dell’’1,2% entro la fine del 2023 e di oltre l’1,5% nel 2024. Un ulteriore allentamento fiscale sta mettendo il Giappone a rischio di un nuovo declassamento del merito di credito e sembra giustificato un premio di rischio sulle obbligazioni a più lunga scadenza.
In ultima analisi, se l’inflazione si attesterà stabilmente intorno al 2%, i rendimenti a più lunga scadenza dovrebbero allinearsi a questo livello, anche se è da sottolineare che ciò potrebbe comportare ingenti perdite di bilancio da parte della Banca Centrale.
Allo stesso tempo, l’approccio alquanto graduale e timido alla normalizzazione delle politiche sta deludendo i mercati, con la BoJ che viene considerata da più parti in ritardo rispetto alle previsioni. Ciò continua a indebolire lo yen e notiamo che le scommesse contro la valuta giapponese hanno continuato a crescere nelle ultime settimane. La minaccia di un intervento da parte del ministero delle Finanze è un fattore che limita un indebolimento significativo verso quota 160 e, a nostro avviso, lo yen rimane una valuta molto sottovalutata in un’ottica di medio termine.
Siamo ora a un punto in cui pensiamo che le autorità giapponesi dovranno supportare le parole con i fatti, se vogliono invertire il trend di indebolimento dello yen. Tuttavia, se la politica della Bank of Japan continuerà a non essere credibile, ci si può chiedere se questo sarà possibile.
Gli asset di rischio hanno registrato un andamento migliore sulla scia del calo dei rendimenti dei Treasury della scorsa settimana. Allo stesso tempo, si ha la sensazione che il conflitto a Gaza/Israele sia al momento circoscritto. Parlando con persone nella regione, si ha la sensazione che Hamas abbia pochi amici e quindi il rischio di un ampliamento del conflitto sembra diminuire, nonostante le proteste pro-palestinesi e il senso di indignazione per la perdita di vite civili. Il prezzo del petrolio rimane stabile e l’Iran sembra aver capito che non sarebbe saggio farsi trascinare in un conflitto diretto contro la potenza degli Stati Uniti.
Ciononostante, riteniamo che i rischi geopolitici rimarranno elevati per un periodo prolungato. Le spese militari continueranno a crescere in modo significativo, mettendo sotto pressione i bilanci pubblici. Nel frattempo, il rischio di attacchi terroristici nelle capitali occidentali è certamente aumentato, in un mondo già distrutto e sofferente.
La settimana scorsa abbiamo visto nuovi dati cinesi poco incoraggianti, e continuiamo a ritenere che questo si tradurrà in un indebolimento del renminbi. Al contempo, per quanto riguarda il credito societario, gli indici dei CDS si sono compressi in seguito all’attenuarsi dei timori per il Medio Oriente e al rialzo dei titoli azionari.
La scorsa settimana abbiamo ridotto le coperture dei CDS in seguito all’allargamento degli spread, ma se gli indici dovessero comprimersi troppo nel breve termine, saremmo propensi a rimettere in piedi queste posizioni, poiché non vogliamo correre un rischio direzionale eccessivo in un contesto di investimento più incerto.
Guardando al futuro
È interessante notare che – negli ultimi due mesi – il numero di tagli dei tassi decisi dalle banche centrali mondiali ha superato quello dei rialzi per la prima volta negli ultimi due anni. Si ha la sensazione di essere a un punto di svolta del ciclo, anche se riteniamo che sarebbe sbagliato saltare alla conclusione che i tassi o i rendimenti torneranno ai livelli considerati “normali” nell’ultimo decennio.
Siamo scettici sul fatto che le banche centrali del G3 taglieranno i tassi per almeno altri nove mesi e, allo stesso tempo, possiamo notare una certa preoccupazione per il volume delle emissioni di debito pubblico. Non ci sembra affatto evidente che i policymaker sentano l’urgenza di imporre vincoli fiscali, e si può immaginare un futuro in cui sarà necessario una grossa turbativa del mercato obbligazionario per frenare una spesa eccessiva.
Lo abbiamo visto l’anno scorso nel Regno Unito, che rimane il Paese più vulnerabile nei mercati sviluppati per il ripetersi di questa eventualità. Tuttavia, non è affatto l’unico Paese in cui il percorso futuro potrebbe essere dominato dalle preoccupazioni per i livelli eccessivi di debito.
In effetti, le preoccupazioni per il debito sono state un fattore che ha spinto il prezzo dell’oro nelle ultime settimane. È stato anche interessante vedere l’aumento della domanda d’oro nel contesto delle riserve delle Banche Centrali, dopo la “militarizzazione” del dollaro USA con il congelamento dei depositi russi da parte degli Stati Uniti lo scorso anno.
È anche vero che l’affievolirsi del fascino delle criptovalute come asset class in grado di fungere da oro digitale ha contribuito a riaccendere l’interesse per l’oro. Di recente, il prezzo del Bitcoin è salito sulla scia del conflitto in Medio Oriente.
Prevediamo però che nelle prossime settimane e mesi l’aumento dell’attenzione sul ruolo delle criptovalute nel finanziamento del terrorismo darà luogo ad un aumento delle iniziative di regolamentazione. Come abbiamo imparato, nel mondo delle crypto ci sono molti elementi in cui l’illusione è piuttosto diversa dalla realtà. Questa narrazione è sembrata estendersi anche ai disegni di Sam Bankman-Fried fatti in tribunale questa settimana.
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