Con la vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi, le valute dei mercati emergenti hanno subito pesanti oscillazioni. Lo yuan cinese offshore (CNH) è sceso dell’1,3% attestandosi a 7,18, mentre il peso messicano ha perso il 2,8% scendendo a 20,66. Altre valute asiatiche particolarmente esposte agli Stati Uniti sul piano commerciale hanno mostrato cali significativi: il won coreano (-1,2%), il ringgit malese (-1,3%) e il baht thailandese (-1,7%). Al contrario, la rupia indiana (-0,2%) e la rupia indonesiana (-0,6%) hanno subito variazioni più contenute.
In un panorama prevalentemente negativo, il real brasiliano ha mostrato una leggera crescita, con un guadagno dello 0,65%. Questo risultato positivo è legato alla possibilità che il Brasile possa trarre vantaggio da eventuali guerre commerciali tra Stati Uniti e Cina, con quest’ultima che potrebbe cercare forniture alternative in America Latina.
Anche i mercati azionari hanno risentito dell’incertezza generata dalla vittoria di Trump. In particolare, l’Hang Seng Chinese Enterprises Index ha registrato una perdita del 2,6%, mentre l’MSCI Mexico è sceso dell’1,6%. Questi cali riflettono il timore di nuove guerre commerciali che potrebbero penalizzare sia la Cina che il Messico, paesi fortemente dipendenti dal commercio con gli Stati Uniti.
L’aumento dei tassi statunitensi, che ha raggiunto il 4,44%, ha influenzato immediatamente il credito dei mercati emergenti. Gli spread del credito societario in questi mercati sono rimasti stabili, suggerendo che il mercato potrebbe non aver ancora scontato pienamente i possibili dazi imposti dagli Stati Uniti. Tuttavia, è probabile che si registri un ampliamento degli spread a breve, specialmente in Asia, considerando che la Cina rappresenta il 25% dell’asset class e l’Asia esclusa la Cina un altro 25%.
Il prossimo annuncio fiscale da parte dell’Assemblea nazionale del popolo cinese (NPC), previsto per venerdì, potrebbe mitigare l’impatto negativo delle tensioni commerciali. Una quota significativa di emissioni obbligazionarie con tempistiche flessibili potrebbe dare sollievo al mercato cinese. Tuttavia, un eventuale dazio al 60% potrebbe ridurre la crescita cinese di un punto percentuale, con un impatto sul prodotto interno lordo previsto per il 2025. Per far fronte a questi venti contrari, il governo cinese potrebbe intensificare gli sforzi di sostegno all’economia.
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