A cura di Albertine Pegrum-Haram, Senior Associate, Investimento Responsabile di Columbia Threadneedle Investments
27.11.2023
Lo scorso ottobre l’Imperial College di Londra ha rilevato in una sua ricerca che, se mantenessimo le emissioni attuali per ulteriori 6 anni, raggiungeremmo solo il 50% di possibilità di successo nel limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. Oggi, con un aumento di temperatura pari a circa 1,1 grado, possiamo già notare l’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi economici e naturali da cui dipendiamo. Gli scienziati del World Weather Attribution hanno verificato come molti degli eventi meteorologici di quest’anno – dalle piogge estreme di settembre nel Mediterraneo, agli incendi di maggio/giugno in Canada e al caldo estivo estremo in Nord America, Europa e Cina – derivino direttamente dal cambiamento climatico. Nel 2023 gli Stati Uniti hanno stabilito il record del maggior numero di disastri naturali con un costo pari a circa 1 miliardo di dollari in meno di un anno. Risulta quindi evidente come ormai gli impatti climatici siano diventati la nostra nuova normalità.
È pertanto sempre più urgente e fondamentale finanziare sia l’adattamento che la mitigazione climatica. Gli investitori si sono tradizionalmente concentrati su quest’ultima offrendo soluzioni più chiare, come supportare i sistemi energetici e di trasporto a basse emissioni. Tuttavia, riteniamo anche che le ampiamente trascurate strategie di investimento per l’adattamento possano avere molteplici vantaggi, come ridurre le perdite e generare nuovi ulteriori canali di finanziamento per la transizione, fornendo allo stesso tempo rendimenti positivi e impatti reali.
Alla ricerca di definizioni condivise e strumenti per la valutazione dei rischi
Sebbene il risultato più importante della COP27 sia stata l’istituzione di un fondo per le perdite e i danni per le nazioni vulnerabili, era stata posta grande attenzione anche sui finanziamenti per l’adattamento. Ci aspettavamo che questo tema sarebbe stato al centro del dibattito in Egitto, ma i risultati tangibili sono stati scarsi. L’anno scorso, i Paesi hanno concordato un quadro di riferimento per l’adattamento, basato sull’impegno assunto a Glasgow di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento a 40 miliardi di dollari entro il 2025. Tuttavia, l’enfasi sul tema dei finanziamenti si è affievolito nei successivi negoziati e si è concordato di produrre un rapporto in occasione della COP28 sui progressi compiuti in materia di adattamento. Di fatto sussistono ancora disaccordi di fondo tra le parti in merito alla forma che dovrebbe assumere l’agenda sull’adattamento, data la natura particolarmente complessa degli obiettivi da definire. Nel periodo che precede la COP28, i progressi su questo fronte sono stati scarsi e le negoziazioni tese. A differenza della riduzione delle emissioni, che ha il lusso di concentrarsi su una metrica chiara (la riduzione dei gas serra), la misurazione specifica dell’adattamento è complicata a causa delle molteplici e diverse attività che rientrano all’interno di questo tema.
Finora la maggior parte dell’attenzione degli investitori si è concentrata sulla gestione dei rischi di transizione, ma sono necessari nuovi approcci per valutare e gestire correttamente anche i rischi climatici fisici. Un tema, quest’ultimo, su cui noi di Columbia Threadneedle Investments abbiamo riflettuto e scritto molto nell’ultimo anno e riteniamo ci siano alcune considerazioni necessarie da fare quando si ha a che fare con questa tipologia di rischi all’interno dei propri investimenti. In primo luogo, è fondamentale comprendere al meglio gli strumenti usati nella gestione del rischio fisico, riconoscendo i limiti insiti nell’utilizzo di risultati prodotti da modelli climatici come dati rilevanti per gli investimenti. La maggior parte di questi modelli, a cui si ricorre per guidare le decisioni di investimento, sono nati per la ricerca accademica e i dati risultanti non rappresentano necessariamente lo strumento migliore o maggiormente adatto per designare i finanziamenti per la resilienza e l’adattamento. Auspichiamo quindi lo sviluppo di una nuova generazione di modelli a scala ridotta che possano aiutare a conseguire decisioni più granulari. In secondo luogo, ci preoccupa il fatto che gli attuali modelli macroeconomici per gli investimenti soffrano di carenze che potrebbero determinare una sottostima del rischio, come la mancanza di eventi climatici non lineari (tipping point), l’assenza di considerazione dei rischi associati e la sottostima degli impatti sulle catene di approvvigionamento. Tutto ciò può portare a un fraintendimento dell’entità del rischio. Vi sono poi ulteriori complicazioni nell’analisi di rischi e opportunità relative ai mercati emergenti e alle economie in fase di sviluppo, tra le quali la mancanza di dati sul campo, che rendono le stime dei rischi ancora più aleatorie per questi Paesi, comportando una maggiore incertezza dell’esposizione al rischio e una conseguente minor certezza nell’orientare gli investimenti.
Guardando al futuro, riteniamo che questo settore necessiti maggiori competenze climatiche per aiutare a tradurre in chiave finanziaria i risultati dei modelli accademici utilizzati e sfruttare al meglio i dati climatici a nostra disposizione. In tal senso, si potrebbero trarre insegnamenti dalle istituzioni accademiche e dal settore assicurativo, che hanno trascorso decenni a integrare la ricerca metereologica e climatica nella classificazione e valutazione dei rischi connessi a questi fenomeni. Attualmente i dati sul rischio fisico si concentrano soprattutto sull’esposizione dell’emittente, piuttosto che sulla gestione. Per questo motivo, abbiamo voluto concentrare i nostri sforzi sul coinvolgimento delle aziende nella gestione del rischio fisico, per consentirci di ottenere una visione maggiormente approfondita e integrata del profilo di rischio complessivo, combinando i dati bottom-up ottenuti dalle aziende con quelli top-down forniti dai modelli di valutazione.
Presente e futuro dell’adattamento climatico
Sappiamo che il fabbisogno di investimenti per l’adattamento è oggi enorme: l’UNEP ha stimato che servirebbero 387 miliardi di dollari all’anno per realizzare le priorità nazionali in materia. Inoltre, siamo consapevoli che dovranno aumentare anche gli investimenti privati in questo specifico settore, in quanto i finanziamenti pubblici da soli non sono in grado colmare il gap finanziario. A nostro avviso, uno dei motivi dell’attuale scarsità e ampio divario nelle risorse per l’adattamento climatico risiede nella mancanza di chiarezza su cosa si intenda per attività di adattamento e ci auguriamo che la COP28 riesca a trovare una definizione chiara e condivisa da tutti. In secondo luogo, servono finanziamenti più chiari da parte dei governi per le soluzioni di adattamento, aiutando così gli investitori a garantire maggiore visibilità ai progetti, concretezza rispetto alla fattibilità degli stessi e un più tangibile potenziale ritorno sugli investimenti.
Oggi i governi sono chiamati a presentare all’UNFCC dei “Piani nazionali di adattamento” che delineino le esigenze nazionali e le azioni da intraprendere; tuttavia, la maggior parte di questi progetti mancano di dettagli su costi e attuazione e non riescono a canalizzare in modo efficiente i capitali privati verso i progetti giusti. A tal proposito, ritorna centrale la capacità da parte degli investitori di poter valutare correttamente il rischio fisico; una migliore divulgazione a livello aziendale dell’esposizione a tale rischio e della sua gestione potrebbe spostare l’ago della bilancia nel grado di comprensione e valutazione dello stesso anche sul piano finanziario. Un simile processo consentirebbe infatti di incorporare questi dati nelle valutazioni bottom-up, anziché affidarci solo ai modelli top-down. L’incremento della domanda di divulgazione del rischio fisico da parte delle normative, quali la tassonomia dell’UE e l’obbligo di rendicontazione del TCFD (Task Force on Climate Related Financial Disclosures) nel Regno Unito, potrebbe supportare e implementare una comunicazione più granulare da parte delle aziende.
Dall’altra parte, gli investitori dovrebbero impegnarsi direttamente con le proprie holding per ottenere informazioni più chiare sui rischi fisici e sui piani di adattamento e mitigazione dei rischi delle società in cui investono. Riteniamo, infatti, fondamentale analizzare e valutare i finanziamenti per il clima attraverso le lenti dell’adattamento e della mitigazione. Considerando che al momento non siamo sulla buona strada per limitare gli impatti climatici, i rischi fisici rappresentano un effetto da prevedere e considerare. Sappiamo che il modo più efficace per contrastare gli impatti più dannosi del cambiamento climatico è oggi quello di limitare le emissioni, ma è altrettanto evidente che i finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione vanno di pari passo con la riduzione delle emissioni e che, per questo motivo, sarà cruciale colmare le lacune presenti oggi su questo fronte e identificare le migliori strategie per rendere effettiva l’Agenda della COP28 su questi due temi.
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