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Coppola (PCI Salerno), “Dopo i voucher, il peggio del peggio”

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Di male in peggio: dai Mini jobs senza vincoli al posto dei buoni lavoro, ai contratti di prossimità.

L’obiettivo primario del governo, fortemente voluto, era di certo quello di evitare un altro referendum a rischio; a causa però del vuoto normativo creato dall’abolizione dei voucher e spinti dalla necessità di trovare una formula contrattuale corretta, per regolamentare il lavoro occasionale, i ministri competenti stanno ipotizzando alte soluzioni e – per necessità – si stanno rispolverando contratti dei quali si era quasi dimenticata l’esistenza.

Gli esperti del Ministero sono al lavoro per rimettere in pista i “contratti di prossimità” che sono uno strumento utile sia per regolamentare una forma contrattuale apposita che sostituisca i voucher (come i mini jobs dei quali si sta parlando in questi giorni) che per adattare una forma contrattuale già esistente (come il lavoro a chiamata).

Cosa sono i contratti di prossimità? Sono una particolare tipologia di contratto di secondo livello, sottoscritto a livello aziendale o territoriale, caratterizzato da una maggiore “forza di legge” in quanto in grado – da un lato – di derogare (in senso migliorativo e peggiorativo) alla disciplina del contratto collettivo nazionale e della legge e – dall’altro – di poter essere applicabile a tutti i lavoratori interessati (c.d. efficacia “erga omnes”).

Il contratto di prossimità deve comunque rispettare i limiti stabiliti dalle norme della Costituzione e i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro; gli accordi possono essere sottoscritti da singoli datori di lavoro o da associazioni di datori di lavoro rappresentative a livello territoriale.

I lavoratori possono essere rappresentati sia dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale che dalle rappresentanze sindacali aziendali. I contratti di prossimità possono servire a regolamentare le forme contrattuali atipiche: contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile; inoltre, possono regolamentare le modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro.

Ma nella fattispecie in questione – vuoto normativo lasciato dai voucher – gli accordi di prossimità potrebbero servire a modificare le regole dei contratti vigenti adattandoli alle esigenze del lavoro occasionale oppure a realizzare una regolamentazione specifica ex novo per i mini Jobs.

In pratica, attraverso i contratti di prossimità si possono rimuovere i limiti esistenti nei contratti attualmente vigenti, come i limiti anagrafici individuati dalla legge sul contratto a chiamata.

Il contratto a chiamata, infatti, retribuisce i lavoratori solo quando prestano effettivamente attività lavorativa, con un meccanismo simile a quello dei voucher ma limitato ai soli lavoratori con meno di 24 anni di età o con almeno 55 anni di età e solo per 400 giornate nell’arco di 3 anni.

Con un contratto di prossimità, invece, si potrebbero togliere questi limiti per rendere la regolamentazione simile ai voucher oppure riscrivere le regole della definizione di occasionalità dello stesso contratto.

Questa ultima soluzione introdurrebbe una maggiore flessibilità normativa a fronte di una maggiore occupazione; il lavoratore assunto avrebbe il diritto all’applicazione delle “normali regole economiche e normative” di un lavoro subordinato.

La strategia governativa è chiara e lucidamente di classe: con i contratti di prossimità si mette in pista una disciplina contrattuale nuova, appunto i mini jobs dei quali si sta discutendo in questi giorni, con l’obiettivo di “attualizzare” il ricatto sul posto di lavoro, concedendo ai giovani nuovi assunti gli stessi “diritti” dei loro colleghi “ piu anziani” ma consegnandoli “legalmente” nelle grinfie di datori di lavoro ormai liberi da remore etiche oppure da leggi di intralcio alla rapacità dello sfruttamento.

Infatti, il governo starebbe pensando di attivare i mini jobs con un contratto di lavoro subordinato, prevedendo uno specifico inquadramento professionale ed il relativo trattamento economico potrebbe essere in linea con quanto era stabilito con il voucher.

Operazione di facciata per cambiare tutto senza cambiare nulla ma avendo evitato il referendum. Se passasse questa controriforma del mondo del lavoro giovanile sarebbe un atto di forza senza precedenti da parte di un governo imbelle, prone ai diktat della BCE sulla parità di bilancio (a carico solo e sempre del mondo del lavoro, soprattutto giovanile, quello più debole e ricattabile) e di fatto “commissariato” dalla Commissione Europea.

Il Partito Comunista deve farsi carico di questa battaglia di classe in favore dei giovani e dei lavoratori tutti, non per difendere privilegi (di chi non ne ha ma li vede sempre più concentrati nelle elites economiche e finanziarie del nostro Paese) bensì per tirare fuori le masse popolari dalle sabbie mobili nelle quali sono state sprofondate da decenni di liberismo è rapacismo senza scrupoli e senza freni.

Questa è una battaglia che deve unire i comunisti e tutte le forze della sinistra di alternativa; questa è una battaglia da vincere nelle piazze tra le masse popolari; questa è una battaglia di civiltà che non si può e non si deve lasciare nelle mani di qualunquisti e di populisti.

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