Secondo un rapporto del Centro studi di Unimpresa, il saldo dei conti correnti bancari è pari a 1.317 miliardi di euro e su questa somma le banche riconoscono una remunerazione che in media è inferiore all’1%. L’inflazione, invece, è al 5,3%, il che significa che il potere d’acquisto delle somme lasciate in banca dai correntisti si riduce di circa il 4% annuo.
In un anno, il totale delle somme della clientela bancaria, tra conti e depositi, è calato di 93,7 miliardi, da 2.075 miliardi a 1.982. Le riserve degli italiani, dunque, utilizzate da famiglie e imprese per far fronte all’impennata dei prezzi tornano sotto la soglia dei 2.000 miliardi, con una riduzione di 93,7 miliardi (-4,5%).
Il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, ha commentato: “La politica monetaria della Banca centrale europea sta producendo anche questo drammatico effetto. Dopo 14 mesi di follia, ci aspettiamo una seduta del direttivo Bce all’insegna della prudenza e soprattutto del buon senso. Finora, l’aumento furibondo dei tassi ha cagionato danni enormi, mettendo in difficoltà le famiglie e le imprese che avevano prestiti a tasso variabile e i dati sulle sofferenze sono la rappresentazione plastica di questa drammatica situazione”.
Il rapporto del Centro studi di Unimpresa evidenzia che un parte delle riserve di famiglie e imprese sono state utilizzate come “arma” anti-inflazione e caro-tassi. Nel caso delle famiglie, i risparmi sono serviti per far fronte all’aumento dei prezzi, mentre per le imprese il ricorso alle riserve è stato un percorso obbligato per evitare di indebitarsi.
In questo contesto, va preso in considerazione l’effetto del potere d’acquisto, eroso dall’inflazione e anche dal livello bassissimo della remunerazione riconosciuta dalle banche su conti correnti e depositi. Sui conti correnti, la remunerazione da parte delle banche risulta ancora assai fiacca: la media nazionale, ad agosto, è inferiore a un punto percentuale. Ne consegue che l’inflazione al 5,3% associata ai bassi tassi bancari (sotto 1%) rappresenta una tassa occulta superiore al 4% il cui costo, a carico di famiglie e imprese, in termini di perdita di potere d’acquisto è di almeno 52 miliardi di euro.
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