Brescia, 20 luglio 2015 – Crescono i disturbi della tiroide anche nel sesso maschile, guadagnando il secondo posto delle malattie endocrine dopo il diabete per numero di casi con 500mila pazienti solo in Italia. Le forme subcliniche anche nei maschi aumentano il rischio di fratture ossee, così come sottolineato anche da una recentissima metanalisi pubblicata su JAMA (2015; 313(20):2055-2065).
[easy_ad_inject_1]E’ la notizia emersa a margine del Congresso CUEM che si è svolto a Brescia il 3 luglio durante la sessione dedicata alle patologie tiroidee, generalmente appannaggio del sesso femminile. La ricerca ha preso in esame oltre 70mila uomini, al 5,8% dei quali è stata riscontrata una forma subclinica di ipotiroidismo e al 3,2% ipertiroidismo subclinico, quelle condizioni in cui i valori ormonali sono al limite della patologia.
“Lo studio, che ha preso in considerazione un numero pari di uomini e donne ha mostrato che un basso livello di TSH (l’ormone tireotropo, prodotto dall’ipofisi anteriore che regola la produzione tiroidei T3 e T4) e una tiroide che tende a funzionare troppo sono associati ad un più alto rischio di fratture d’anca e vertebrali, il doppio del rischio dei soggetti con valori tiroidei normali” spiega il Professor Andrea Giustina, Ordinario di Endocrinologia presso l’università’ di Brescia e Presidente del Congresso:
“La relazione tra ormoni tiroidei e fragilità ossea è data da un aumento del turn-over osseo causato anche da un lieve eccesso di ormoni tiroidei circolanti”.
Un basso livello di TSH è associato ad un rischio di 1,6 volte superiore di fratture d’anca e di 1,9 volte per tutte le ossa. Mentre i soggetti con una tiroide pigra non sembrano avere aumentato rischio di fragilità scheletrica.
Buone notizie invece per quel che riguarda i noduli tiroidei, la maggior parte sono benigni e molti possono essere tenuti sotto osservazione senza necessità di trattamento. Lo ha spiegato il Prof. Sebastiano Filetti nella sua relazione in cui ha presentato i dati rassicuranti pubblicati dello studio italiano pubblicato su JAMA: “I noduli sono un evento molto frequente nella popolazione generale e interessano dal 30% al 50% delle persone. Nella maggior parte dei casi non danno disturbi e vengono scoperti durante controlli casuali. Di questi, l’80% sono formazioni benigne, il 16,5% hanno un profilo indeterminato da sottoporre quindi ad ulteriori controlli e solo il 3,5% presentano un sospetto di malignità. Nel nostro studio multicentrico abbiamo sottoposto un gruppo di 993 pazienti a follow up con una ecografia annuale e controlli dei dosaggi FT4 e TSH evidenziando che a 5 anni il 66% dei noduli rimane stabile, il 15,4% cresce di dimensioni (sia pure lentamente, parliamo di circa 5 mm in 5 anni) e, dato rilevante, il 18% tende a regredire. In questa coorte di pazienti solo il 9% presentava nuovi noduli al controllo “Abbiamo individuato un profilo più a rischio di crescita: si tratta di soggetti che hanno più noduli, una età inferiore ai 43 anni ed indice di massa corporea superiore a 28. Questi presentano un rischio maggiore di andare incontro ad un aumento di dimensioni del nodulo tiroideo”.
“L’incidenza minore della patologia nodulare tiroidea negli uomini non deve essere un pretesto per abbassare la guardia” conclude il Professor Giustina “Infatti, quando il nodulo tiroideo si riscontra in un paziente maschio ha più probabilità di essere un tumore maligno. Anche una ricerca pubblicata su BMC Cancer di aprile ha mostrato che l’incidenza di microcarcinoma papillare in pazienti con patologie tiroidee benigne sottoposti a intervento chirurgico era del 16-17% in entrambi i sessi. E’ importante che la tiroide maschile non venga trascurata”.
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