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Staminali, importante novità dal Besta: la terapia cellulare senza cellule

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Staminali, la terapia cellulare senza cellule

Milano, 25 febbraio 2014 – Le cellule “staminali” diventano vere e proprie fabbriche di “farmaci”: i ricercatori dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano le hanno utilizzate per la prima volta al mondo per “ricavarne” proteine e fattori di crescita e aiutare il corpo nel riformare naturalmente e più velocemente i suoi vasi sanguigni e tessuti. Grazie a questa nuova tecnica, infatti, ferite croniche, come le ulcere diabetiche, si sono cicatrizzate in un tempo sino a due volte più breve. Questo innovativo intervento di medicina rigenerativa è possibile grazie all’uso di piccole strutture, gli scaffolds, costituite della più sottile fibra di seta, che vengono “immerse” nelle cellule staminali e che come spugne si imbevono delle benefiche molecole prodotte da queste ultime. Gli scaffolds, una volta collocati nella lesione, le rilasciano poco per volta, aiutando l’organismo in una cicatrizzazione rapida.

Questo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Stem Cell Research & Therapy ed è stato realizzato dall’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, in collaborazione con l’Università di Perugia e l’Innovhub-SSI di Milano.

Spiega Eugenio Parati, direttore del Dipartimento di neuroscienze cliniche dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta”: “Si tratta di un approccio del tutto nuovo all’uso delle cellule staminali. Infatti, invece di usarle direttamente come una sorta di panacea capace di diventare qualsiasi tipo di cellula e così riparare ogni tipo di danno all’interno del corpo, le abbiamo utilizzate come produttrici di molecole attive, una sorta di capsule che contengono più farmaci, senza la necessità di trapiantarle nel corpo. Abbiamo realizzato una vera e propria terapia cellulare senza l’impiego di cellule direttamente innestate sul soggetto trattato. Ciò ha portato grandi vantaggi: pratici, perché possiamo riutilizzare più volte le stesse staminali, medici, perché trattandosi solo di molecole non ci sono né problemi di rigetto né problemi etici”.
Precisa Parati: “Si tratta di una sperimentazione in laboratorio e non ancora di una terapia: per arrivare all’impiego nella pratica clinica saranno necessari alcuni anni”.

La tecnica
Attualmente gli scaffolds sono già utilizzati in medicina, ad esempio sono impiegati come microscopici “ponti” all’interno di ferite e lesioni per guidare il corpo a guarire in maniera migliore, senza formare cicatrici. Sono queste ultime, infatti, a portare danni funzionali: in una fibra nervosa lesionata e rimarginatasi, è proprio la cicatrice a bloccare il passaggio dell’impulso elettrico, con gravi problemi come, per esempio, perdita di sensibilità o, addirittura, paralisi.
I ricercatori dell’Istituto Neurologico Besta hanno adottato un particolare materiale per i loro scaffolds, la fibroina della seta, un materiale questo molto sottile e in grado di sciogliersi progressivamente nel corpo, senza danni per l’organismo e in grado di rilasciare progressivamente le molecole che vi si sono ancorate.

Per valutare i vantaggi della nuova tecnica è stato studiato in quanto tempo le ulcere diabetiche guariscono autonomamente, comparando l’efficacia con l’applicazione di scaffolds a cui sono state ancorate particolari cellule staminali, le cellule adipose mesenchimali adulte, con scaffolds a cui sono state ancorate le stesse cellule poi rimosse.
È importante sottolineare che i ricercatori hanno osservato come le cellule adipose mesenchimali adulte aderiscono e crescono sullo scaffold mantenendo il loro profilo fenotipico e la loro capacità di differenziarsi. Analisi strutturali hanno poi dimostrato che la sterilizzazione, la decellularizzazione, il congelamento e l’immagazzinamento non alterano la struttura di questi scaffolds, sia di quelli con le cellule che quelli “senza cellule” (decellularizzati). Quando innestate sulle ferite dei topi diabetici entrambe, la struttura con cellule e quella decellularizzata, producono significative rigenerazioni dei tessuti riducendo l’area della ferita rispettivamente del 40% e del 35% in tre giorni, completando il processo in circa 10 giorni.
Ciò a conferma che le sostanze prodotte dalle cellule, anche dopo la rimozione delle stesse, rimangono intrappolate nella matrice e hanno uguale capacità di riparare i vasi delle cellule stesse.
I vantaggi nell’uso della matrice decellularizzata sono una più facile conservazione, una riduzione della possibilità di reazioni immunologiche e dunque di rigetto, o patogene, di infezione.
Questa ricerca suggerisce un uso potenziale di queste strutture decellularizzate nella cura di ulcere croniche diabetiche negli esseri umani.

L’andamento del diabete
Nel 1985 i malati di diabete in tutto il mondo erano 30 milioni, nel 1995 135 milioni, nel 2001 circa 177 milioni. Nel 2030 saranno 370 milioni (+110%). Quattro milioni di persone muoiono ogni anno nel mondo a causa del diabete (9% dei decessi globali). Il diabete mellito di tipo 2 rappresenta l’85-95% di tutti i casi totali di diabete nei Paesi sviluppati. Nel 1995 il continente con il più alto numero di diabetici era l’Europa, con 33 milioni di malati, seguita dalle Americhe con 31 milioni e dal Sud Est Asiatico con 28 milioni. I costi per il diabete di tipo 2 rappresentano tra il 3 e il 6% della spesa sanitaria totale in 8 Paesi europei. In Italia nel 2030 i malati di diabete saranno 5 milioni e 400 mila. L’incidenza annuale di ulcere del piede nella popolazione diabetica è di 2,5-10,7% (Fonte: Comitato Diabete Italia).

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