A cura di Nikolaj Schmidt, Chief International Economist, T. Rowe Price
Ci sono sempre più segnali che indicano che siamo vicini ad una recessione. La fase che precede la recessione comporta solitamente un rallentamento nel mercato del lavoro. Inizialmente avviene in maniera graduale, ma improvvisamente accelera a tal punto che le banche centrali intervengono allentando la politica monetaria. Molti segnali indicano che ci stiamo dirigendo verso una recessione media, il che non è una buona notizia. Sarà una sorpresa per i mercati finanziari, perché una recessione media è molto più grave di una recessione lieve, attualmente scontata dai mercati.
Tuttavia, il nostro viaggio nell’ultima tappa potrebbe essere reso più turbolento e prolungato sia da un mercato del lavoro tonico che non mostra ancora segni decisivi di rallentamento, sia dal tetto del debito pubblico statunitense che necessita di essere prorogato prima della scadenza del 1° giugno circa.
In assenza di una soluzione politica al problema, gli Stati Uniti, nel peggiore dei casi, non sarebbero in grado di onorare i propri obblighi di debito sui Treasury. Un default del debito statunitense, anche se a breve termine, quasi sicuramente manderebbe i mercati finanziari in caduta libera. Inoltre, la sfida per l’economia è che mentre il problema delle banche regionali statunitensi sembra essere stato gestito, dobbiamo ancora vedere come le turbolenze bancarie regionali influiranno sull’emissione di credito e sulla disponibilità delle banche a concedere prestiti.
Tuttavia, non mancano gli aspetti positivi. La Fed potrebbe tagliare i tassi di interesse prima del previsto come scorciatoia per uscire da una potenziale recessione. È quindi molto positivo che Jerome Powell abbia iniziato a suggerire che i rialzi dei tassi potrebbero essere finiti per il momento. Tuttavia, non dovremmo gioire troppo presto.
Le buone notizie hanno vita breve
Il calo dei prezzi dell’energia, l’allentamento dei vincoli sul fronte dell’offerta e la nuova politica di gestione del Covid in Cina hanno dato di recente nuovo slancio alla crescita globale. Questi fattori hanno allontanato la crescita dai livelli di recessione. Sfortunatamente, l’effetto sembra essere di breve durata, dato che la crescita non sembra prendere piede e ci sono molti segnali che indicano che ci stiamo nuovamente dirigendo verso una recessione. Dal mio punto di vista e da quello dei mercati finanziari, la domanda è se la crescita rallenterà a tal punto da innescare una dinamica recessiva.
Una recessione è più grave di un rallentamento della crescita, dato che ha una forza intrinseca di auto-rinforzo: in primo luogo, la crescita si indebolisce, il che si ripercuote sul mercato del lavoro, che a sua volta indebolisce ulteriormente la crescita, creando una spirale recessiva che si auto-rinforza. Per porre fine alla spirale è necessario uno shock esterno, spesso sotto forma di allentamento della politica monetaria, che stimoli la crescita e l’occupazione. Pertanto, il mercato del lavoro è il fattore chiave che dobbiamo monitorare attentamente.
Nel più grande Paese del mondo, gli Stati Uniti, il mercato del lavoro sembra ancora solido in superficie. Sebbene vi siano segni di crepe nelle fondamenta dell’occupazione, non abbiamo ancora assistito al suo sgretolamento. E finché il mercato del lavoro non cederà, la Fed continuerà a perseguire una politica monetaria restrittiva.
Un altro fattore che contribuirà all’inasprimento delle condizioni finanziarie è la politica del credito bancario. Sebbene la crisi bancaria regionale negli Stati Uniti sia stata gestita in modo ragionevole e le autorità abbiano assicurato che nessun depositante subirà perdite, le banche stanno rivalutando le loro attività e mi aspetto che nei prossimi trimestri questo processo contribuisca e rafforzi una politica monetaria restrittiva, limitando l’accesso al credito da parte di imprese e cittadini.
Quella del tetto del debito Usa è una questione globale
Tuttavia, non sono né le banche regionali né il mercato del lavoro degli Stati Uniti a rappresentare la sfida più grande nel breve periodo. Piuttosto, è il tetto del debito statunitense che potrebbe infliggere gravi danni non solo all’economia americana, ma anche a quella globale.
Al fine di garantire una gestione prudente della politica fiscale statunitense, esiste un limite massimo all’entità del debito pubblico degli Stati Uniti. Il limite è stato continuamente aumentato dal Congresso, ma l’attuale polarizzazione del sistema politico aumenta il rischio che si giunga a un accordo entro il 1° giugno. A quel punto, il Segretario al Tesoro Janet Yellen si aspetta di rimanere senza capitali, sia per rimborsare il debito che, ad esempio, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici. Questo darà a Yellen un bel grattacapo, dovendo scegliere tra due mali: interrompere il pagamento degli stipendi e delle prestazioni sociali, oppure interrompere i rimborsi e i pagamenti degli interessi sul debito pubblico? Una domanda difficile a cui rispondere.
Il mancato pagamento degli stipendi avrebbe un costo politico elevato negli Stati Uniti, ma un’inadempienza nei pagamenti agli investitori minaccerebbe la stabilità del sistema finanziario globale. I titoli di Stato Usa sono utilizzati come garanzia nelle transazioni in quasi tutto il mondo e, per questo motivo, creare incertezza sui Treasury non è un’opzione praticabile.
Se il Congresso troverà un accordo prima del 1° giugno, un aumento del tetto del debito causerà turbolenze a breve termine sui mercati finanziari. I mercati non hanno tenuto conto del fatto che il tetto del debito ha avuto come conseguenza la riduzione della liquidità detenuta dal Tesoro statunitense presso la Fed. Ciò ha avuto lo stesso effetto di un quantitative easing della politica monetaria. Quando il tetto del debito verrà innalzato, il Tesoro statunitense dovrà ricostituire le proprie disponibilità liquide, il che comporterà un significativo drenaggio di liquidità nel sistema finanziario, che storicamente ha creato problemi ai mercati finanziari. Tuttavia, questa soluzione è chiaramente preferibile rispetto ad un periodo prolungato in cui gli Stati Uniti non saranno in grado di onorare i propri obblighi finanziari.
Cosa potrebbe fare un investitore prudente?
Storicamente, la fase finale della stretta monetaria è un buon momento sia per le azioni che per le obbligazioni. Tuttavia, se guardiamo alla performance dei due asset finora, le obbligazioni sono state in linea con le aspettative, mentre le azioni le hanno deluse. A mio avviso, ciò riflette gli sviluppi del mercato del lavoro statunitense e la questione del tetto del debito USA.
La domanda che dobbiamo porci è quindi: cosa potrebbe fare un investitore prudente di fronte alla prospettiva di una recessione e di una resa dei conti sul tetto del debito?
Come punto di partenza, un investitore saggio dovrebbe – a mio avviso – continuare a perseguire una strategia di investimento conservativa fino a quando la questione del tetto del debito non sarà chiarita. Ma credo che sia ancora più saggio rimanere prudenti fino a quando non sarà chiaro se gli Stati Uniti e l’economia globale si stanno dirigendo verso una recessione. Pertanto, a mio avviso, un portafoglio ragionevole dovrebbe favorire i segmenti del mercato obbligazionario che tipicamente registrano buone performance quando la crescita rallenta, piuttosto che il mercato azionario.
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