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TCW – Mercati emergenti: Africa tra opportunità e sfide nell’obbligazionario

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Team Italia News
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A cura di Brett Rowley, Managing Director Emerging Markets, TCW

In Africa, intorno al 2010, c’erano solo cinque paesi presenti nell’indice: Sudafrica, Gabon, Ghana, Egitto e Tunisia. Rappresentavano meno del 5% del totale e la maggior parte era costituita dal Sudafrica. Ora ci sono 16 paesi e una manciata di altri che emettono solo debito denominato in euro. Non è solo il numero di paesi che si è ampliato, ma anche lo spettro dei rating. Ci sono sicuramente paesi in default, come Ghana e Zambia, ma c’è anche il Botswana, con rating singola A. Quest’ultimo non è nell’indice, non ha avuto bisogno di emettere obbligazioni, ma sta considerando l’idea di farlo, entrando nel mercato entro i prossimi due anni.

Quando si pensa all’Africa, viene subito in mente l’esportazione di materie prime. Ci sono molti paesi africani esportatori di materie prime – che si tratti di petrolio, metalli e commodity legate all’attività estrattiva – ma ce ne sono anche molti altri che esportano cibo e prodotti agricoli. Ci sono, però, anche molti paesi che sono importatori netti di materie prime. Bisogna pensare all’Africa come a un insieme di 50 Paesi e più caratterizzati da un’ampia gamma di fattori economici e politici. Questo panorama offre molte opportunità per investire in tutto lo spettro del credito.

Come difendersi dal cambiamento climatico

L’Africa è una delle regioni più vulnerabili del mondo ai cambiamenti climatici e per questo sono necessari molti capitali per migliorare la situazione. Bisogna considerare che dai dati risulta che l’Africa generi solo il 2% o il 3% delle emissioni di CO2 nel mondo. Eppure, 8 dei 10 paesi più vulnerabili a livello globale si trovano in Africa. Inoltre, si tratta di paesi che sono ancora nelle prime fasi del proprio ciclo di sviluppo; quindi, la loro domanda di energia continuerà a crescere man mano che si svilupperanno. Alcune delle statistiche pubblicate dal Fmi nel suo rapporto annuale di aprile sull’economic outlook dell’Africa per la mitigazione del clima, indicano che saranno necessari 50 miliardi di dollari all’anno fino al 2050 per la climate mitigation.

Per contribuire a una transizione pulita, sarebbero necessari circa 190 miliardi di dollari all’anno fino al 2030. Sono cifre enormi. Ovviamente, il settore privato non è in grado di coprire tutte le spese. Dall’altro lato, neanche il settore pubblico può coprire in toto questi costi, quindi abbiamo bisogno di soluzioni collaborative per cercare di capire come aiutare alcuni dei Paesi più vulnerabili. Poiché hanno un fabbisogno energetico così elevato, è necessario che anche i paesi sviluppati contribuiscano a fornire una parte dei finanziamenti.

A oggi sono stati lanciati diversi sustainable bond e labeled bond. Il Benin, ad esempio, ha presentato un sustainable bond, l’Egitto un green bond. Molti altri paesi sembrano intenzionati a emettere un labeled bond – che sia un blue bond, un green bond o un altro bond legato agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Nella realtà dei fatti, dovremo aspettare ancora un paio d’anni prima che vengano emessi.

Per quanto riguarda il clima, il Gabon è il simbolo dell’area. Hanno un’esperienza di circa 30 anni nella conservazione ambientale. Stanno preparando alcuni swap climatici e hanno ricevuto diversi finanziamenti. Ma la maggior parte degli altri paesi sono ancora in una fase iniziale. Uno degli impegni che abbiamo preso nel corso degli anni, e non solo in occasione delle riunioni della Banca Africana di Sviluppo, è quello di ricordare ai policymaker che ci sono grandi bacini di capitale pronti e interessati a investire in obbligazioni labeled.

L’elefante nella stanza: il Sudafrica

Quest’anno il Rand è stato una delle valute che ha registrato una delle peggiori performance nei mercati emergenti, nonostante il Sudafrica abbia goduto di un’ottima spinta di fondo: il boom delle materie prime degli ultimi due anni. Esportatore di molte materie prime, come l’oro e il platino, ha potuto trarre vantaggio dall’aumento dei prezzi di queste commodity, contribuendo a ridurre il deficit fiscale, passando da un deficit delle partite correnti a un avanzo delle partite correnti.

Il Sudafrica ha goduto di molti venti favorevoli e si è passati da una crescita stagnante a poco più del 2%. Questo contesto ha mascherato molti dei problemi strutturali di fondo che erano ancora presenti nel Paese. Uno di questi è la massiccia carenza di elettricità, che è diventata un enorme problema per l’economia. Negli ultimi due anni i fattori che hanno sostenuto il credito sudafricano si sono trasformati in un punto di inflessione e ora stanno diventando dei venti contrari. Senza il sostegno esterno delle materie prime e con tutti i problemi strutturali di fondo che pervadono il Sudafrica, la situazione continuerà a peggiorare. Il problema è che non esiste una soluzione rapida per nessuno dei problemi che il Paese deve affrontare in questo momento.

Al contrario, la Nigeria rappresenta un potenziale punto di forza nell’area. Il presidente Tinubu è stato eletto con un mandato che mira al cambiamento e nel suo discorso di insediamento ha affrontato le riforme che devono essere fatte con urgenza. Si tratta di due riforme chiave che gli investitori aspettavano e aspettano tuttora per tentare di impiegare i capitali.

Esiste un pericolo default?

Sul fronte dei default, si è diffusa un’idea sbagliata, ovvero che in Africa ci sia un gruppo di paesi a costante rischio default. Ce ne sono stati un paio, lo Zambia e il Ghana. Lo Zambia all’inizio della pandemia e il Ghana più di recente. Ora, invece, stiamo iniziando a vedere l’altro lato della medaglia, con evidenti progressi in Ghana, ad esempio, che ha ricevuto garanzie finanziarie dai creditori ufficiali.

Il pacchetto del Fmi è stato appena approvato e ora si sta passando alle fasi di negoziazione con i creditori privati, che si spera di concludere entro i prossimi sei mesi circa. La vera pressione è stata ovviamente l’aumento dei tassi d’interesse globali. La domanda è se questi paesi siano in grado di rifinanziarsi con la scadenza di alcuni debiti. Il Kenya è stato probabilmente il più penalizzato: ha un’importante scadenza obbligazionaria in euro nel 2024 e ora che mancano circa 12 mesi, il mercato si sta concentrando sulla sua capacità o meno di saldare il debito.

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