Le proposte di La Placa (pediatra) e Valli (educatore) per il post pandemia
Roma – Quali sono gli elementi che fanno stare bene le bambine e i bambini, e come questi elementi si distribuiscono sui territori, attraverso le varie figure di riferimento, i sanitari, gli insegnanti, gli educatori e gli adulti che normalmente accompagnano la vita e la crescita di un bambino? È questo il tema attorno a cui si sviluppano le riflessioni e le proposte di Simona La Placa, pediatra, e Daniele Valli, educatore, che hanno dialogato con Saverio Tommasi nell’incontro on line ‘La salute sospesa delle bambine e dei bambini – Dialoghi tra prospettive differenti e pratiche comuni’, secondo di tre appuntamenti curati da Amref Health Africa-Italia – all’interno del progetto ‘Fa.C.E. – Farsi Comunità Educanti’, che vede capofila la fondazione ‘Reggio Children – Centro Loris Malaguzzi’ ed è selezionato dall’impresa Sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educative minorile.
La cornice degli incontri è, ancora una volta, quella della pandemia, con un focus sulla salute che parta dai territori e che sui territori si può sviluppare con tutte le sue possibilità e le sue complicazioni. “L’accesso ai servizi sanitari, e in particolare alla pediatria di libera scelta, è un element fondamentale per il benessere del bambino- spiega subito Simona
La Placa, che è anche direttrice, da poche settimane, della struttura complessa di neonatologia dell’ospedale di Trapani. “È indispensabile la presa in carico del pediatra di libera scelta fin dalla nascita- prosegue La Placa- perché ne segue le regolari tappe di sviluppo, non solo dell’accrescimento ma proprio delle tappe che il bambino compie. Il ruolo dell’operatore sanitario condiziona tantissimo il benessere e lo stato di salute dei bambini, poiché valuta come stanno crescendo e acquisendo i vari step- spiega La Placa- Il pediatra è in grado di capire e monitorizzare quello che sta accadendo, poiché costruisce un rapporto di fiducia con i genitori, li sostiene nella genitorialità, li indirizza verso altri servizi qualora il bambino si discosti da questo sviluppo per varie ragioni”.
Il pediatra è quindi uno snodo nevralgico. “È in grado di fare sintesi rispetto a tutti gli input che vengono dal contesto in cui vive il bambino- aggiunge La Placa- a partire dal nido, la scuola materna, la socialità, la relazione con i compagni e gli amici e all’interno del nucleo familiare. Il pediatra offre così la continuità che nessun altro operatore sanitario può dare al bambino. Ci sono bambini che quando diventano grandi, nel transito dal pediatra al medico generale, vogliono restare con il pediatra proprio perché il rapporto di fiducia inizia con I bambini e prosegue anche con i suoi genitori”.
Ma queste relazioni si costruiscono sui territori e La Placa spiega che “sì, esiste un modello, che se implementato e interpretato in modo corretto dovrebbe dare i migliori risultati, ma il buon funzionamento dei modelli dipende dai contesti e dale persone. Il contesto sociale e culturale in cui vive il bambino fa molto la differenza, per questo il pediatra ci deve stare. Non c’è un problema di territori ma di relazione, che dipende dai singoli. La nostra formazione di pediatri deve fondarsi nella capacità di relazione e nell’empatia”.(SEGUE)
Gli elementi che consentono, pertanto, il benessere al bambino si rintracciano nelle persone e nelle relazioni con le persone, a partire dal pediatra. Ma ad accrescere questa rete, e se vogliamo anche il modello, sono tutti gli adulti di riferimento, come si diceva al principio, e in questo entra in gioco Daniele Valli, educatore della onlus romana ‘Celio azzurro’, che per rispondere alla cruciale domanda su cosa fa stare bene bambini e bambine, risponde citando un pedagogista e poeta come Danilo Dolci: “Un bambino sta bene solo se sognato”.
Per Valli “siamo noi a doverli sognare i bambini, noi adulti, siamo noi che dobbiamo immaginarli in un futuro e immaginare il loro futuro. Un bambino sta bene quando è lasciato libero di fare il bambino- sottolinea Valli- La nostra società ha organizzato troppi recinti e schierato troppi adulti di riferimento a controllare il bambino. La funzione principale della crescita è quella di sviluppare autonomia e socializzazione, ma se la scuola italiana è maestro-centrica, come sembra essere diventata, i bambini non hanno più occasione di relazionarsi senza l’adulto: così si passa dal controllo del genitore a quello del maestro, a quello dell’educatore musicale o di quello sportivo, lungo tutto l’arco della giornata.
E dove sono gli spazi di autonomia dei bambini?- si interroga- Le regole servono ma serve anche riorganizzare i luoghi dove i bambini sono liberi di fare i bambini. Devono esistere dei setting familiari, di scuola, di socialità dove il bambino si senta amato, nel caso della famiglia, ma anche accettato e benvoluto, nel caso degli altri contesti. In questo senso- osserva criticamente Valli- come fa una scuola a massificare gli obiettivi? Ogni bambino ha i suoi tempi e i suoi ritmi di crescita, un bambino sta bene quando si sente amato, accolto e rispettato nei propri processi di sviluppo e non giudicato. Un insegnante, quando due bambini bisticciano, la prima cosa che chiede è ‘Chi è stato’? Ma dove vogliamo arrivare con l’individuazione del colpevole?’ irrompe Valli, il quale ricorda che “bisogna invece chiedere cosa è successo. Se un adulto non fa questo, mina lo sviluppo del bambino, il quale senza la mediazione dell’adulto può già comprendere cosa è bene e cosa è male, ma deve avere lo spazio per farlo.
Arrivando così all’età adolescenziale più forti, quando il gruppo dei pari vale più dei genitori e degli adulti di riferimento. I bambini tendon in autonomia a volersi dare delle regole e se lasciamo loro capire come impostarle, per quanto il supporto serva sempre, facciamo educazione alla democrazia.
Se vogliamo una cittadinanza attiva e partecipata- invoca Valli- bisogna fare in modo che I bambini partecipino della loro vita fin da piccoli. In questo senso serve una sinergia tra chi crede nell’autonomia dei bambini ,e i pediatri, per convincere i genitori che la campana di vetro non aiuta. Negli ultimi trent’anni è cambiato l’approccio scolastico e anche la socializzazione: il senso di comunione, tanti anni fa era presente, mentre ora c’è un individualism sfrenato, che cozza con la possibilità di acquisire consapevolezza per i bambini, quella consapevolezza che aiuta a crescere”.
Dalla relazione come costruzione del benessere alla partecipazione per crescere autonomi, consapevoli e anche democratici. Da questo primo punto di caduta Valli aggiunge alcune considerazioni per aiutare a modificare lo status quo: “Bisogna lasciare i ragazzi liberi di tornare a casa sporchi, sbucciarsi le ginocchia, fare in modo che vadano a dormire dagli amici, fin da piccoli, si contaminino”.
Del resto, l’associazione in cui Valli è educatore nasce come progetto di inclusione, di incontro conl’altro: “Lavoriamo molto sull’inclusione sociale e sulle radici- spiega infatti l’educatore- e cerchiamo di coinvolgere I genitori. Fin dall’inizio ci siamo domandati come si fa intercultura con i bambini dai 3 ai 6 anni? I bambini non hanno pregiudizi, non vedono i colori diversi, litigano con chi li fa arrabbiare e stanno con coloro con cui giocano bene. Quello che possiamo fare quindi è valorizzare la memoria, le radici, per questo abbiamo invitato i loro genitori a cucinare un piatto della propria tradizione e abbiamo deciso di farlo con tutti, nessuna distinzione, sia con gli stranieri che con gli italiani: questo crea una memoria comune e condivisa, tra adulti e bambini.
Nell’Italia di oggi i genitori sono preoccupati degli insegnanti e gli insegnanti dei genitori, una partita a tennis per il rimpallo delle responsabilità, ma partecipando a una iniziativa in cui il genitore è a scuola, aprendo quindi gli istituti, si consente ai genitori di capire cosa fanno i propri figli e come lo fanno. Aprendo la scuola ai genitori si crea una relazione di auto-aiuto, di scambio, facendo questo i nostri ex ragazzi, che ora hanno 30 anni, sono ancora amici; tra loro infatti si è creata una rete sociale che li protegge, non solo per gli stranieri ma per tutti i bambini’.
Come agire sul territorio Valli lo spiega, ancora una volta con il ricordo di un altro bravo pedagogista, Francesco Tonucci: “30 anni fa hanno chiamato Francesco Tonucci a Prato per costruire una città a misura di bambino. Lui lo ha fatto, mettendo parchi, attraversamenti facili, zone recitante solo per bambini. In questa città a misura di bambino vivevano bene tutti. Un po’ quello che è successo a noi che volevamo sviluppare la pedagogia interculturale: l’inclusione che abbiamo fatto con I bambini stranieri faceva bene a loro ma anche a tutti gli altri. Sui territori bisogna quindi agire investendo per tutti, a partire dalle S: sociale, sanità, scuola- sottolinea Valli- La pandemia ha mostrato un parziale fallimento di queste S e una cosa su cui dobbiamo lavorare velocemente è sicuramente la riorganizzazione degli spazi scolastici: mentre in tutta Europa si lavora sull’apprendimento ‘outdoor’ noi facciamo passare ai nostri ragazzi otto ore seduti al chiuso”.
Anche dal punto di vista del sanitario, quello che si può fare per stimolare sistemi e comunità rientra nell’inclusione, spiega La Placa: “Con Sip e Sima quando parliamo di inclusione, facciamo riferimento alla salute senza esclusione. Abbiamo fatto campagne per includere nel sistema sanitario tutti coloro che ne rimanevano esclusi, gli stranieri senza permesso di soggiorno, in primo luogo. Oggi non è più così, fortunatamente, e lo straniero senza permesso non è più escluso dall’assistenza sanitaria. Nell’interagire con le famiglie straniere e i loro bambini abbiamo la possibilità di sviluppare un approccio transculturale, un insieme di strumenti di mediazione utili alla relazione e anche all’approccio alla malattia- spiega la pediatra- La medicina transculturale può sicuramente aiutarci nella relazione, in questo senso nella relazione è importante la mediazione, ci aiuta a fare meglio il nostro mestiere.
Il medico pediatra, sia se vengono fuori delle criticità o anche in loro assenza, deve sviluppare una relazione anche con la scuola, ma soprattutto quando il bambino ha disturbi nell’apprendimento o ha difficoltà, a maggior ragione adesso nella pandemia. Il tempo, per le relazioni del pediatra con la scuola, non è dalla nostra parte ma c’è un aspetto positivo della pandemia: non avrei mai avuto così tante occasioni di confronto con altri professionisti se non ci fosse stata la pandemia. Non posso uscire dall’ambulatorio per andare a scuola del bambino tutte le volte che è necessario ma posso discutere con l’insegnante nella relazione anche a distanza, magari anche programmando un incontro dal vivo, sia con i docenti che con i genitori. Mettere in discussione ognuno di noi quello che stiamo facendo, grazie all’incontro anche da remoto, è un’occasione preziosa”.
Alla domanda su cosa modificare dello status quo, La Placa è molto chiara: “Nella vita di tutti I giorni questi bambini li vogliamo troppo performanti, se giocano a calcio devono essere tutti grandi calciatori. Dobbiamo smettere di pretendere il massimo dai bambini, ognuno di loro darà quello che può, serve invece alleggerire questi bambini, ridurre la tensione che creiamo in loro nel volerli sempre primi della classe”.
Un passaggio è dedicato anche agli effetti più diretti della pandemia sul benessere dei bambini, a cui la pediatra risponde ricordando che “i bambini dalla prima fase dell’emergenza sono usciti in sovrappeso. I pediatri di famiglia, quando hanno potuto riprendere i bilanci di salute dopo il primo lockdown, hanno ritrovato i piccoli pazienti più grassi; in un secondo momento è stato lanciato un allarme dagli psichiatri infantili per crisi di panico, autolesionismo, i numeri su queste fragilità sono inquietanti- spiega- La scuola non li ha alleggeriti, nonostante il contesto della pandemia, lo hanno detto gli stessi insegnanti: con la didattica a distanza è aumentato il lavoro per gli insegnanti e per i bambini, sono cambiate sì le modalità di verifica, gli esami’. Anche per La Placa “andrebbe ripensata la scuola su questo, soprattutto su un’offerta formativa che permetta ai bambini di tirar fuori quello che sono e non a chiudersi. Forse è utopico ma serve ripensare tutte le prove di fine ciclo scolastico. Buona parte degli insegnanti credo concordino, è un mestiere difficile il loro”.
Per Daniele Valli gli effetti diretti della pandemia si sono visti sulla fascia “sotto i sei anni. Diciamo che hanno vissuto meglio le restrizioni, per via del fatto che non dovevano indossare la mascherina, ma erano comunque chiusi durante il primo lockdown, e hanno sofferto. Il disagio da isolamento è fortissimo per i bambini, ma non solo durante l’emergenza e la didattica a distanza ma anche quando questi ragazzi sono a scuola e diventano trasparenti, nessuno li vede, li sente. Se la scuola continua a trattarli con la decimologia, ovvero la valutazione per voti, questi bambini non si vedono. Il bambino invece va narrato. L’effetto sui bambini della trasformazione delle regole di socializzazione va indagato: loro si sono subito adattati alle nuove regole, niente baci, niente abbracci, nessuna vicinanza, ma sul lungo termine ha effetti negativi e spero non sia questa la parte che si vuole mantenere nel post pandemia; meglio sarebbe quella di una migliore organizzazione. Si dovrà tornare, mi auguro presto- sottolinea Valli- al contatto perché questo è importante per i bambini sotto i 6 anni quanto la parola, se non di più. Non poter prendere in braccio un bambino che sta piangendo è stata una cosa molto forte; il fatto che si siano costituiti gruppi classe e sempre negli stessi spazi, senza poter circolare e crescere con quelli più grandi, è stata una costipazione e una limitazione degli stimoli. Non ha avuto ancora effetti terribili ma ne vedremo gli effetti più avanti, spero il meno possibile”.
Infine, in chiusura dell’incontro, una frase, una citazione o un monito dalla pediatra e dall’educatore. Per Simona La Placa la parola è partecipazione: “Ognuno deve fare la sua parte, solo se ciascuno di noi riveste il ruolo che deve le cose possono funzionare. La parola è quindi partecipazione ma anche equità: nell’accesso, nei servizi. Se qualcosa non è a disposizione di tutti vuol dire che qualcosa non sta funzionando”.
Anche Daniele Valli richiama il ruolo della partecipazione, ma in una forma diversa: ‘Mettiti da parte’ il monito che lo accompagna mentre lavora con i bambini. “A significare che bisogna guardarli e mettersi da parte, lasciare loro la libertà. Lasciamoli liberi di crescere ed esprimere se stessi, insegnando che la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri”.
Il 14 luglio ‘Un anno di sospensione del calendario vaccinale: timori ed esitazioni dei genitori e della comunità’ chiuderà il ciclo di incontri, con l’epidemiologa Luisa Mondo e l’Advisor in Child Protection Veronica Lattuada che dialogheranno con David Puente sul tema delle vaccinazioni.