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Economia. Nel 2016 le famiglie italiane non hanno speso e le aziende non hanno investito

Raffaele Coppola, segretario PCI Salerno
Raffaele Coppola, segretario PCI Salerno
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“In Italia il 2016 è stato un anno segnato dalla preoccupazione per il futuro: le aziende non hanno investito e le famiglie non hanno speso.
Sia le une che le altre hanno preferito accumulare: l’analisi del Centro Sudi di Unimpresa evidenzia l’aumento di oltre 68 miliardi di euro delle riserve bancarie, la crescita di 40 miliardi di euro dei risparmi delle famiglie e quella di quasi 14 miliardi di euro dei fondi a disposizione delle imprese.
In aggiunta, nel 2016 nei soli conti correnti sono stati accumulati in totale 95 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente; in particolare, da dicembre 2015 a dicembre 2016 il totale dei depositi di cittadini, aziende, assicurazioni e banche è aumentato di oltre il 4% passando da 1.581 miliardi di euro a 1.650 miliardi di euro. ”

Così Raffaele Coppola, segretario della sezione salernitana A. Gramsci del Partito Comunista Italiano sulla situazione economica italiana relativa a famiglie e imprese.

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“Le famiglie non spendono e hanno lasciato in banca 40 miliardi in un anno (+4%), – aggiunge Coppola – le imprese non investono e i loro fondi sono cresciuti di quasi 14 miliardi (+6%), le banche – che prestano sempre meno soldi – hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 10 miliardi (+2%), che dunque resta alta (355 miliardi totali) e risulta allocata in forme di impiego diverse dal credito; le riserve delle assicurazioni sono calate di 2,5 miliardi (-11,89%) verosimilmente in conseguenza di disinvestimenti di capitali legati al clima di incertezza che si respira nel nostro Paese.
Le motivazioni alla base di questo scenario “congelato” sono da tempo sempre più le stesse: a frenare consumi, investimenti e credito sono rispettivamente la paura di nuove tasse, l’assenza di certezze sul futuro, i parametri sui bilanci rigidi.

Il quadro sociale del Paese è aggravato anche da fatto che – come scrive l’Ocse a proposito dell’Italia – “quasi 10 anni dopo l’inizio della crisi la crescita dei salari in termini reali è debole, evidenziando il rischio di una stagnazione salariale duratura”.
Questa è la cosiddetta “trappola della bassa crescita”: i salari e l’occupazione sono bassi, le famiglie spendono meno, le imprese vendono meno e investono meno; a risentirne alla fine è anche la produttività perché assumere lavoratori poco costosi e flessibili diventa spesso più conveniente che fare efficienza spendendo capitali in macchinari.

A questa crisi nessun governo succedutosi almeno dal 2008 ad oggi ha risposto in modo adeguato, governo attuale compreso.
In Italia gli interventi sociali a sostegno delle famiglie sono pari al 4,1% della spesa totale per le prestazioni sociali, un valore tra i più bassi in Europa; il nostro Paese, a differenza di tutti gli altri paesi europei, eccetto la Grecia, non ha alcuna forma stabile di sostegno al reddito, il cosiddetto reddito di cittadinanza che in tempi di crisi argina la caduta dei consumi.

La via d’uscita dalla trappola liberista consiste, senza mezzi termini, nello sviluppo di politiche strutturali che portino alla piena occupazione, al reddito di cittadinanza e ad una crescita sostenibile in grado di assicurare benefici più equamente distribuiti incluso un più ambizioso uso delle politiche di bilancio.
Dopo anni di politiche neoliberiste, in Europa come in Italia, comincia a farsi breccia l’idea che senza mettere in campo l’intervento pubblico, dalla stagnazione secolare non si esce; il problema è che l’Italia, con un debito pubblico pari al 132% del prodotto interno lordo e con i rigidi vincoli di bilancio europei da rispettare (e probabilmente anche le banche da salvare) le politiche fiscali espansive non se le può permettere. I governi italiani sono ostaggio della BCE e del FMI, non sono in grado autonomamente di mettere mano ad altre voci di bilancio. Cambiare il sistema si può ma è necessario pensare a come attrezzarsi e con chi attrezzarsi per iniziare un percorso di superamento delle contraddizioni del capitalismo di cui sono prigioniere le fasce più deboli della società italiana.
Il Partito Comunista Italiano persegue questo obiettivo” conclude.

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