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Mercati: Per Stati Uniti, Regno Unito e Germania le prospettive non sono rosee

Mark Dowding BlueBay CIO RBC BlueBay AM
Mark Dowding BlueBay CIO RBC BlueBay AM
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A cura di Mark Dowding, BlueBay CIO, RBC BlueBay AM

In sintesi

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  • La volatilità dei mercati finanziari ha continuato a diminuire, grazie alla solidità degli utili bancari
  • I mercati del credito hanno goduto di un mese solido, mentre gli spread si sono ripresi dalla volatilità di marzo
  • Prevediamo un rallentamento della crescita e che l’economia statunitense tenderà verso la recessione
  • Nel Regno Unito, i dati sull’inflazione aumenteranno probabilmente la pressione sulla BoE affinché continui ad aumentare i tassi di interesse
  • La BoE deve procedere con molta cautela, per paura di provocare un crollo dei prezzi delle case nel Regno Unito
  • In Europa, c’è una spinta per una regolamentazione bancaria più solida e un dibattito in corso sull’austerità fiscale

(17 – 21 aprile 2023) – La volatilità dei mercati finanziari ha continuato a diminuire nell’ultima settimana, con il Vix che è sceso ai livelli visti l’ultima volta verso la fine del 2021. Lo stress nel settore finanziario continua a diminuire, aiutato dalla solidità degli utili bancari, che hanno contribuito a ribadire che le banche rimangono ben capitalizzate e in uno stato operativo fondamentalmente sano.

La scorsa settimana sono stati pubblicati pochi dati economici relativi agli Stati Uniti, anche se le aspettative di un ultimo rialzo della Fed hanno continuato a rafforzarsi, sulla base della valutazione che l’economia manterrà il suo slancio. Tuttavia, vediamo che la domanda si sta raffreddando e le condizioni di credito più restrittive probabilmente ridurranno i prestiti bancari nei prossimi trimestri.

L’indebolimento del gettito fiscale delle persone fisiche negli Stati Uniti, dovuto alla diminuzione delle plusvalenze nell’ultimo anno, suggerisce inoltre un rallentamento della crescita del reddito disponibile, che potrebbe iniziare a pesare sui consumi. In questo contesto, prevediamo un rallentamento della crescita nei prossimi mesi e una tendenza dell’economia statunitense verso la recessione alla fine dell’anno.

Tuttavia, dato che l’inflazione rimane elevata, siamo scettici sul fatto che la Fed intenda tagliare i tassi di interesse prima del quarto trimestre del 2023.

I minori introiti fiscali statunitensi evidenziano inoltre la possibilità che il governo degli Stati Uniti rimanga senza liquidità entro la fine di giugno, in assenza di un accordo sull’innalzamento del tetto del debito. Durante le prime schermaglie al Congresso, i Repubblicani hanno proposto un aumento sostanziale del tetto del debito in cambio di un impegno a tagliare la spesa pubblica, proposta che è stata respinta dalla Casa Bianca.

Riteniamo che la prospettiva di un default sul debito del Tesoro rimanga incredibilmente improbabile. Tuttavia, questo non fermerà la pressione e l’indebolimento delle entrate fiscali ha accelerato il calendario che deve essere rispettato per trovare un compromesso.

Di conseguenza, l’incertezza sul tetto del debito potrebbe essere un fattore che peserà sui risky asset nel prossimo mese o due, anche se non dovrebbe avere un impatto a lungo termine o duraturo.

Nel Regno Unito, i dati sull’inflazione di questa settimana hanno rappresentato un’ulteriore cattiva notizia per la Bank of England. Il CPI headline rimane a due cifre e noi continuiamo a ritenere che l’inflazione britannica supererà il limite più a lungo rispetto a quanto accadrà in altre economie avanzate.

Ci aspettiamo che nei prossimi mesi emerga una crescente divergenza dell’inflazione tra il Regno Unito e i suoi omologhi. È probabile che ciò eserciti pressioni sulla Bank of England affinché continui ad aumentare i tassi di interesse, visto che i dati sull’attività sono rimasti relativamente sani nel primo trimestre, e anche in seguito all’evidenza che la crescita dei salari è accelerata a circa il 7%.

Tuttavia, la BoE deve continuare a muoversi con molta cautela, per paura di provocare un crollo dei prezzi delle case nel Regno Unito. Si ha l’impressione che l’impatto della stretta monetaria non sia lineare e che sia una questione di quando, e non di se, i consumatori britannici saranno costretti a ridimensionarsi, sulla scia dell’aumento dei costi e dei tassi ipotecari.

Un brusco calo dei prezzi delle case nel Regno Unito potrebbe portare a nuovi timori di un collasso finanziario del Paese, per cui riteniamo che la Bank of England sia attualmente costretta a inasprire la politica con relativa riluttanza. Tuttavia, una politica più restrittiva sembra essere necessaria.

La psicologia dell’inflazione nel Regno Unito è molto diversa da quella di altre economie. Ad esempio, i policymaker di altri Paesi parlano dell’importanza di ridurre l’inflazione e di ripristinare la stabilità dei prezzi, al fine di creare le condizioni per una prosperità economica a medio termine.

Nel Regno Unito, invece, la narrazione sembra essere molto più incentrata su una “crisi del costo della vita”, che sembra alimentare una dinamica in cui i lavoratori dovranno rincorrere gli aumenti salariali per ripristinare il potere d’acquisto, alimentando un disancoraggio delle aspettative di inflazione. Spostare e deviare le ragioni dell’inflazione su fattori esterni, porta a una cattiva definizione delle politiche. Ciò può consolidare la sottoperformance economica del Regno Unito rispetto ai suoi omologhi.

Questo ci induce a prevedere un indebolimento della sterlina nel medio termine, anche se ci aspettiamo di vedere una maggiore trazione su questo trade quando l’attività economica inizierà a rallentare in modo più deciso nel Regno Unito.

In Europa, Bruxelles ha insistito sulla necessità di un’unione bancaria sempre più solida. Come previsto, le conseguenze di SVB e Credit Suisse porteranno probabilmente a un aumento della regolamentazione, che continuerà a rendere le banche più conservative. Ciò può limitare il margine di crescita degli utili, ma rende le banche più sicure, e quindi riteniamo che questo sosterrà la qualità del credito, da parte degli investitori del debito.

Nel frattempo, ci siamo concentrati sul rinnovato entusiasmo per l’austerità fiscale in Germania, con la richiesta di tornare a uno “black zero” nel contesto di un bilancio in pareggio. La politica fiscale accomodante ha contribuito a sostenere l’attività economica dell’UE negli ultimi mesi e, con l’esaurirsi degli stimoli, questo è un fattore, oltre alla stretta monetaria, che fa prevedere una crescita più debole nel continente nei prossimi mesi.

Nel frattempo, sarà importante osservare i segnali di tensione all’interno dell’UE per quanto riguarda l’applicazione delle regole di bilancio del blocco. I Paesi dell’Europa meridionale continuano a manifestare il desiderio di un approccio fiscale più rilassato, in contrasto con il desiderio tedesco di pareggiare il bilancio.

Detto questo, si ha l’impressione che in questo momento nell’UE manchi la leadership tedesca e che le richieste di Berlino vengano accantonate molto più facilmente rispetto a quando Merkel era al potere.

Nell’ultimo anno, la gestione delle politiche tedesche sull’Ucraina è costata alla Germania in termini di autorità su questioni di politica estera. Nel frattempo, anche le sue politiche ambientali sono a pezzi, con un’amministrazione apparentemente green che porta a danni climatici sconsiderati e a un aumento dell’intensità delle emissioni di carbonio.

Lo dimostrano i dati di questa settimana, secondo i quali la Francia emette attualmente 50 g di anidride carbonica per kWh, rispetto alle emissioni della Germania, pari a 605 g di anidride carbonica per kWh. Questo netto contrasto è dovuto al mix energetico nella produzione di energia, con la Germania che ha aumentato l’uso del carbone al 40%, soprattutto in seguito alla decisione di eliminare gradualmente il nucleare.

Si può dire che il nucleare abbia un ruolo importante come combustibile di transizione ed è degno di nota il fatto che anche il Giappone (un Paese soggetto a terremoti e ancora segnato dal disastro di Fukushima) sia tornato al nucleare, anche se la Germania questa settimana ha chiuso le sue ultime centrali.

In Giappone, i dati CPI di oggi continuano a evidenziare le pressioni inflazionistiche del Paese. La crescita dei prezzi core è ora più alta che mai dal 1981 e, dal punto di vista dei fondamentali, non c’è dubbio che le condizioni economiche del Paese siano oggi molto diverse rispetto a quanto accadeva quando è stato introdotto il controllo della curva dei rendimenti (YCC) nel 2016.

Da questo punto di vista, sembra che ci sia un ampio consenso sul fatto che il governatore Ueda si muoverà presto per porre fine alla politica giapponese dello YCC, mentre intraprende un percorso di graduale normalizzazione della politica monetaria, che potrebbe vedere un rialzo dei tassi all’inizio del prossimo anno.

Ciononostante, vi è un ampio consenso sul fatto che il cambiamento di politica potrebbe avvenire nella riunione di giugno, anziché in quella di aprile della prossima settimana. Vorremmo tuttavia sottolineare ancora una volta che lo YCC rende inefficace la comunicazione della banca centrale. È necessario aderire totalmente al mantenimento dello YCC fino al momento in cui verrà eliminato, così come non si può preannunciare l’abbandono di una politica di tassi di cambio fissi.

Ciò detto, i cambiamenti di politica dovranno arrivare a sorpresa e non vediamo perché tale sorpresa non possa arrivare già la prossima settimana, se Ueda è giunto alla conclusione che la politica dello YCC dovrà terminare in tempi relativamente brevi. In questo contesto, non c’è molto merito per un ritardo e anzi c’è un vantaggio nel muoversi in anticipo, se così facendo la BoJ può aggiustare la policy, prima che si crei un accumulo di pressione speculativa.

I mercati del credito hanno vissuto un mese solido, grazie al recupero degli spread dopo la debolezza registrata a marzo. Il calo della volatilità ha creato un contesto favorevole, ma siamo cauti sulla durata di questo periodo di calma. Nei Paesi emergenti, i tassi locali hanno sovraperformato nelle ultime settimane.

Nel settore del credito, gli spread di frontiera sono stati sotto pressione, con crescenti timori di default nell’Africa settentrionale e sub-sahariana. Il forex ha registrato una modesta ripresa del dollaro e alcuni rapporti suggeriscono che gli investitori speculativi sono ora posizionati lunghi sul biglietto verde.

Tuttavia, siamo propensi a vedere un dollaro meno solido in questo momento e riteniamo che il flusso di notizie in arrivo nel mese a venire favorisca maggiormente l’euro e lo yen rispetto all’unità valutaria statunitense.

Guardando al futuro

Il calendario dei dati per la settimana a venire è relativamente scarno ed è quindi possibile che le condizioni di calma continuino. Tuttavia, la settimana successiva potrebbe vedere un ritorno a una volatilità più elevata sulla scia della riunione della Fed e dei dati sui salari degli Stati Uniti.

È inoltre probabile che il conflitto in Ucraina si riacutizzi presto, con la tanto attesa offensiva di primavera in Ucraina. Sembra che dovremmo goderci la calma finché dura, ma essere pronti a ridurre il rischio in previsione del fatto che questa situazione non potrà durare a lungo.

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