Chi comprerà il debito Usa?
- L’erosione delle riserve Usa nei mesi precedenti l’accordo sul debt ceiling rende necessario ricostituire uno stock di liquidità con almeno 600/700 miliardi di dollari, oltre ai 500 miliardi da destinare al pagamento delle spese statali
- Una simile somma, da finanziare nel giro di pochi mesi attraverso l’emissione di titoli di Stato, potrebbe creare notevole stress sul mercato
- Nel caso in cui i principali acquirenti del debito Usa fossero le banche, si assisterebbe a una riduzione della liquidità sul mercato, a scapito del finanziamento di consumatori e imprese e della stabilità del sistema bancario americano, già impegnato a resistere ai continui rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed e al fallimento, nel marzo scorso, di tre istituti di credito regionale
- La seconda e più probabile opzione di acquisto è quella dei fondi di mercato monetario che, con oltre 1.960 miliardi di dollari investiti nella Reverse Repo Facility, potrebbero coprire l’intero fabbisogno del governo, senza eccessive ripercussioni sul fronte della liquidità
- Se il Tesoro americano riuscisse ad emettere dei titoli di Stato con scadenza a breve termine e a garantire un tasso allettante, creerebbe le condizioni ideali per l’acquisto del debito Usa da parte dei fondi, minimizzando le conseguenze in termini di liquidità
A cura di Giorgio Broggi, Quantitative Analyst di Moneyfarm
Milano, 4 luglio 2023 – Nonostante il recente accordo sulla sospensione del tetto del debito abbia escluso in extremis la minaccia di un default Usa, i mesi di stallo hanno comunque avuto significative ripercussioni sulle casse del Tesoro americano che, se a metà del 2022 presentavano un attivo nel proprio “conto corrente” di circa 1000 miliardi di dollari, nell’ultimo mese sono scese a soli 150 miliardi (quando normalmente la copertura delle spese correnti imporrebbe un saldo di almeno 500 miliardi di dollari).
L’erosione di queste riserve, dovuta al pagamento delle spese statali nei mesi precedenti l’accordo sul debt ceiling, rende ora necessario ricostituire uno stock di liquidità con almeno 600/700 miliardi di dollari (in aggiunta ai 500 miliardi da destinare al pagamento delle spese statali). Una simile somma, da finanziare nel giro di pochi mesi attraverso l’emissione di titoli di Stato, potrebbe creare notevole stress sul mercato. Soprattutto occorrerà capire se a finanziare il debito americano saranno le banche oppure i fondi di mercato monetario che, al momento, detengono oltre 5.000 miliardi di dollari in vari asset e investono sia in titoli di debito a breve termine, che nella cosiddetta Reverse Repo Facility, un meccanismo che consente loro di prestare denaro alla Fed overnight, in cambio di titoli di Stato a breve. I fondi investiti in questa facility, non entrando nel sistema economico, non hanno un impatto diretto sulla liquidità del sistema finanziario.
Se fossero le banche ad acquistare i Treasury
Nel caso in cui i principali acquirenti del debito Usa fossero le banche, queste, trasferendo le proprie riserve di cash verso i titoli di debito, determinerebbero una riduzione della liquidità sul mercato, poiché le stesse riserve non sarebbero più utilizzabili per finanziare la crescita attraverso prestiti a consumatori e imprese. In base a questa ipotesi, non sarebbe improbabile assistere a una riduzione delle riserve del sistema bancario americano dagli attuali 3.000 miliardi ai 2.500 miliardi di dollari, un livello di per sé non basso, ma che potrebbe sollevare dei dubbi sulla stabilità del sistema bancario a stelle e strisce, già indebolito dai continui rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed e dal fallimento, nel marzo scorso, di tre istituti di credito regionale. La riduzione di liquidità sul mercato potrebbe quindi compromettere ulteriormente la solidità dell’ecosistema bancario statunitense, rendendolo più vulnerabile e meno pronto ad affrontare eventuali shock, e determinando potenzialmente una serie di effetti negativi a catena, in quanto le società di intermediazione, gli hedge fund e altre istituzioni finanziarie vedono nel mercato la propria fonte di finanziamento primaria.
In ogni caso, l’immissione di nuovi titoli di Stato sul mercato metterebbe sotto pressione le banche su due diversi fronti:
- il primo riguarda la concorrenza: famiglie e imprese, invece di mantenere i propri depositi in banca, sarebbero incoraggiate a investire nel debito Usa, che offrirebbe loro rendimenti superiori. Come conseguenza, per attrarre nuovi clienti le banche sarebbero costrette ad aumentare i tassi di interesse sui depositi e, per cercare di non erodere eccessivamente i propri margini di profitto, finirebbero con l’aumentare i tassi d’interesse sui prestiti a imprese e privati;
- il secondo riguarda il rialzo dei tassi di interesse: una corsa ai titoli di Stato andrebbe a ridurre l’ammontare complessivo delle riserve a cui le banche hanno accesso presso la Fed, riducendo la liquidità all’interno del sistema finanziario e spingendo ulteriormente verso l’alto i tassi.
Nonostante la banca centrale statunitense stia studiando piani per ridurre la liquidità di riserva in modo molto graduale, il timore ultimo è quello di assistere a un episodio simile a quello verificatosi nel settembre 2019, quando la gestione della liquidità contribuì ad un rialzo del tasso interbancario effettivo della Fed dal 2,14 al 2,25%, costringendo la banca centrale ad intervenire con iniezioni di liquidità per un totale di 260 miliardi di dollari, cifre che non si vedevano dal 2008.
Se fossero i fondi ad acquistare i Treasury
La seconda e più probabile opzione di acquisto è quella dei fondi di mercato monetario che, con oltre 1.960 miliardi di dollari investiti nella Reverse Repo Facility, acquistando la maggior parte del debito potrebbero coprire l’intero fabbisogno del governo. Questa sembra la strada più percorribile per il Tesoro Usa, perché questi fondi, già “parcheggiati” presso la Fed overnight, se dovessero essere spostati dalla Reserve Repo Facility verso i titoli di Stato a breve, avrebbero ripercussioni minime sul fronte della liquidità. L’idea di base del Tesoro sarebbe quella di emettere titoli di Stato con una scadenza a breve termine, in modo da incoraggiare, almeno sulla carta, l’acquisto del debito Usa da parte dei fondi. L’incognita in questo caso è se effettivamente i fondi vorranno acquistare i titoli di Stato: per il momento il governo è riuscito a convincerli a finanziare il debito pagando un tasso poco al di sopra del 5%, percentuale che tuttavia dovrebbe probabilmente aumentare se il Tesoro volesse incentivare un acquisto più massiccio. Se, infatti, il Tesoro dovesse emettere dei titoli con un rendimento inferiore rispetto a quanto al momento è garantito dalla Reverse Repo Facility, molto probabilmente i fondi di mercato monetario non sarebbero disposti ad acquistare il debito Usa, lasciando la questione alle banche, con le conseguenti criticità in termini di riduzione delle riserve e della liquidità nel mercato.
Al contrario, se il Tesoro americano riuscisse ad emettere dei titoli di Stato con scadenza a breve termine e a garantire un tasso allettante creerebbe le condizioni ideali per l’acquisto del debito Usa da parte dei fondi, riuscendo al contempo a minimizzare le conseguenze in termini di liquidità e a mantenere le riserve bancarie sopra il livello di allarme.
Per il momento, il piano sembra comunque funzionare, con la Reverse Repo Facility che ha visto esborsi non lontani dai 300 miliardi di dollari nell’ultimo mese, vicini all’emissione complessiva di T-Bills da parte del governo nello stesso periodo.