A cura di Elaine Lin, Analista degli investimenti di Capital Group
Il rischio che l’eurozona entri in recessione è in crescita già da diverso tempo, ma il recente nervosismo dei mercati l’ha resa un’eventualità significativamente più probabile.
Per quanto riguarda i dati, quelli sul prodotto interno lordo (PIL) del quarto trimestre indicano che l’eurozona ha evitato per poco una recessione tecnica. Osservandoli più da vicino, però, emergono una domanda dei consumatori via via più debole e una crescita penalizzata dalla domanda interna. Ulteriori segnali di un indebolimento della domanda al consumo arrivano dai dati sulle vendite al dettaglio in Germania, il cui trend ribassista è proseguito a gennaio. Insieme al crollo dell’offerta di moneta M1 e all’inasprimento degli standard per l’erogazione dei prestiti, tali dati indicano che la stretta monetaria sta producendo gli effetti desiderati.
Una BCE aperta al futuro
Nonostante il nervosismo dei mercati, in occasione della riunione di marzo la BCE è andata avanti per la propria strada mettendo in atto il rialzo da 50 pb preannunciato, ma ha abbandonato la propria forward guidance e ha fatto sapere di seguire ormai una traiettoria totalmente “dipendente dai dati”. A nostro giudizio si tratta probabilmente dell’approccio giusto, dato che l’istituto non è più in grado di farsi un’idea chiara di come si evolverà la situazione economica.
La discesa del tasso finale
Riteniamo che il nuovo approccio “attendista” della BCE comporti una progressiva riduzione del tasso finale data l’elevata probabilità di un ulteriore deterioramento dei dati economici. Questo fatto è messo in evidenza dal peggioramento del sentiment economico in Germania rilevato dall’indagine ZEW. Nonostante ciò, non è ancora chiaro quanto tempo impiegherà la BCE ad avviare un ciclo di taglio dei tassi.
Ma l’inflazione non è ancora passata, e non è più solo un problema legato all’energia
Dopo l’incertezza e la volatilità dell’ultima settimana sarebbe bello non doversi più preoccupare dell’inflazione; purtroppo, però, le pressioni al rialzo sui prezzi permangono.
È pur vero che in seguito al recente calo dei prezzi energetici l’inflazione primaria potrebbe aver superato il proprio picco, con i prezzi “headline” trascinati al ribasso secondo le previsioni dagli effetti base nei prossimi mesi. Ma la maggior parte dei parametri che misurano l’inflazione di fondo continuano a crescere: nell’eurozona il dato core, che esclude i prezzi di generi alimentari ed energia, è ai massimi storici. A contribuire alle pressioni sui prezzi è la scadenza prevista per quest’anno delle misure varate dai governi per tenere bassi i prezzi energetici. Inoltre, fatto più importante, a causa della natura retrospettiva e pluriennale del meccanismo di adeguamento dei salari vigente nell’eurozona è probabile che la loro inflazione acceleri fino a raggiungere livelli al di sopra di quelli coerenti con il target del 2% della BCE.
Di conseguenza l’inflazione si trasformerà da problema esogeno a endogeno, sfida che nell’ultimo decennio la BCE non ha mai dovuto affrontare.
Implicazioni per gli investimenti
Benché l’incertezza permanga, finora dai dati emerge a nostro parere un significativo incremento della probabilità che l’eurozona entri in recessione. Alla luce di ciò riteniamo sia possibile acquisire valore incrementando l’esposizione alla duration, dati i livelli attuali.
A oggi la curva del mercato monetario sconta tagli dei tassi nell’eurozona a partire dal 2024. Ipotizzando che questa previsione sia a grandi linee corretta e che i dati emersi dalle rilevazioni evidenzino l’ulteriore deterioramento da noi atteso, pronostichiamo un calo dei rendimenti sui Bund tedeschi. Calo che potrebbe verificarsi anche qualora l’inflazione rimanesse vischiosa. Se le turbolenze sui mercati si intensificassero e le banche centrali fossero costrette a fornire maggiori stimoli, i titoli di Stato potrebbero beneficiare di una tentata “flight to quality”.
Confermiamo il posizionamento per un ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie tramite un sottopeso sugli spread tra i titoli di Stato e in particolare sull’Italia. Con il sempre maggiore rischio di una recessione i titoli di Stato italiani (BTP) si comporteranno via via di più come un asset creditizio. A fronte di ciò le loro valutazioni restano poco attrattive. Il profilo di debito dell’Italia rimane inoltre vulnerabile a causa delle consistenti attività di emissione del Paese e della forte esposizione ai titoli di Stato italiani del suo settore bancario, contribuendo così potenzialmente a un ampliamento degli spread in periodi di avversione al rischio.
Con l’aumento del rischio di una recessione è probabile che crescerà anche la pressione affinché la curva dei rendimenti si appiattisca. L’incertezza rimane tuttavia elevata e, dato l’approccio restrittivo “condizionato” atteso della BCE, manteniamo una posizione di ridotte dimensioni sul possibile appiattimento della curva come forma di copertura rispetto al rischio di un ulteriore incremento dei tassi.
Dopo un decennio di politiche monetarie ultra-accomodanti iniziamo ad osservare le conseguenze desiderate e indesiderate del loro aggressivo inasprimento. Sebbene banche centrali e autorità di regolamentazione siano pronte a schermare il sistema finanziario da un altro “momento Lehman”, è importante tenere a mente che non serve una crisi finanziaria globale per far andare in recessione l’economia.