A cura di David Rees, Senior Emerging Markets Economist, Schroders
Uno degli assi portanti della nostra visione sui mercati emergenti è che un forte calo dell’inflazione, dovuto in parte a un’inversione di tendenza dei prezzi dei generi alimentari, consentirebbe alle banche centrali di iniziare a ridurre i tassi d’interesse quest’anno, migliorando le prospettive di crescita economica nel 2024.
I dati in arrivo hanno finora suggerito che questa visione si sta realizzando. Gli indici dell’inflazione sono scesi con i tassi del CPI che hanno iniziato a diminuire. L’inversione di tendenza dell’inflazione energetica ha fatto finora la parte del leone, ma l’inflazione alimentare ha iniziato chiaramente a scendere, mentre anche le pressioni sui prezzi di base stanno iniziando a diminuire. In questo contesto, sembra non mancare molto all’avvio di un ciclo di allentamento nei paesi emergenti.
Alcune banche centrali emergenti, come quelle di Uruguay, Vietnam e Ungheria, hanno già fatto qualche timido passo verso un allentamento. Il calo dell’inflazione e il lento cambiamento della retorica delle banche centrali suggeriscono che non ci vorrà molto prima che il Brasile inizi a tagliare i tassi e, probabilmente, altri paesi dell’America Latina seguiranno l’esempio prima della fine dell’anno.
In prospettiva, tuttavia, la crescente probabilità di El Niño quest’inverno rappresenta una minaccia per la nostra visione. Si tratta di un fenomeno meteorologico periodico, osservato in genere ogni due-sette anni, in cui il riscaldamento delle acque marine nell’Oceano Pacifico altera il clima, influenzando le precipitazioni in diversi continenti, in particolare nell’emisfero meridionale.
Come El Niño può influenzare le economie
Ci sono diversi modi in cui El Niño può avere un impatto sull’attività economica dei mercati emergenti. È già noto che le scarse precipitazioni hanno causato l’abbassamento del livello del Canale di Panama, costringendo le navi a trasportare carichi più leggeri per evitare di incagliarsi. Al margine, questo potrebbe causare alcune interruzioni nelle catene di approvvigionamento, che hanno causato un’inflazione dei prezzi delle merci durante la pandemia di Covid-19.
Si prevede che El Niño avrà un impatto anche sull’offerta del mercato globale delle materie prime. Sono già state segnalate forti piogge che hanno interrotto l’estrazione del rame in Cile. Tuttavia, in Asia, un clima più secco e stagioni monsoniche più brevi possono essere positive per l’estrazione di altri metalli e minerali come bauxite, nichel e stagno.
El Niño può anche esacerbare i disastri naturali, che negli ultimi anni hanno avuto un impatto sempre più devastante sull’attività globale e sui mercati assicurativi.
Le condizioni di siccità influiscono anche sulla produzione di energia in quei Paesi, in particolare in quelli dell’America Latina come Brasile, Colombia e Venezuela, che tendono a fare grande affidamento sulla produzione di energia idroelettrica. Questo può portare a carenze di energia, facendo salire i prezzi e soffocando l’attività. La produzione di energia idroelettrica potrebbe essere interrotta nelle zone che ne fanno largo uso.
L’effetto sui prezzi dei prodotti alimentari
Nel frattempo, i cambiamenti delle condizioni meteorologiche rappresentano una chiara minaccia per la produzione agricola. La siccità può bloccare la produzione, mentre le piogge eccessive possono causare problemi se spazzano via i raccolti. A parità di condizioni, un’interruzione della produzione agricola provocherebbe un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.
Mantenendo stabili i prezzi del petrolio, alla fine di un forte El Niño, l’S&P GSCI agriculture and livestock potrebbe aumentare di circa il 40% rispetto ai livelli attuali verso la fine dell’anno, mentre un El Niño molto forte potrebbe far salire i prezzi di oltre il 50%. Inserendo queste cifre nei nostri modelli di inflazione, sembra che mentre un El Niño moderato non altererebbe in modo significativo le prospettive di inflazione, qualsiasi fenomeno più grave sarebbe preoccupante. Infatti, è possibile che, dopo un forte calo fino alla fine dell’anno, l’inflazione alimentare media degli emergenti potrebbe rapidamente rimbalzare a due cifre nel 2024.
A parità di altre condizioni, un’inflazione alimentare più elevata comporterebbe una nuova compressione dei redditi reali a scapito dei beni non alimentari e lascerebbe meno spazio alle banche centrali per abbassare i tassi di interesse. Pertanto, El Niño rappresenta un rischio di stagflazione per le previsioni sugli emergenti.
Quali economie sarebbero maggiormente colpite?
Le economie dei paesi emergenti grandi esportatori netti di prodotti alimentari possono subire una perdita di ricavi da esportazione se le perdite di produzione sono superiori a qualsiasi aumento dei prezzi. Ad esempio, in Brasile le esportazioni nette di prodotti alimentari equivalgono a circa il 5% del Pil ed è notevole che le oscillazioni dell’ONI (l’Indice del Niño Oceanico prodotto dalla National Oceanic and Atmospheric Administration del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che misura le variazioni della temperatura dell’acqua nell’Oceano Pacifico) siano diventate ben correlate alla crescita del Pil. Ciò sembra suggerire che, mentre la produzione agricola eccezionale ha garantito all’economia brasiliana una crescita più rapida del previsto nei primi mesi del 2023, questo sostegno potrebbe subire un’inversione di tendenza nei prossimi mesi se le condizioni di El Niño si intensificassero.
Nel frattempo, gli importatori netti di prodotti alimentari si troveranno ad affrontare prezzi più alti e a dover scegliere se finanziare deficit commerciali più ampi o tagliare le importazioni di altri beni, con una conseguente riduzione della domanda interna e quindi della crescita complessiva del Pil. Anche l’inflazione alimentare aumenterebbe.
Tuttavia, l’impatto sull’inflazione sarebbe avvertito in modo non uniforme in tutti gli emergenti. Infatti, gli alimenti rappresentano una percentuale variabile dei consumi nei diversi paesi. Ad esempio, mentre in India i generi alimentari rappresentano circa la metà del paniere del CPI, in altri paesi emergenti il peso è molto più basso.
La stragrande maggioranza delle banche centrali dei paesi emergenti è pronta a tagliare significativamente i tassi d’interesse nell’anno a venire. In effetti, Brasile, Colombia e Cile, tre economie direttamente colpite da El Niño, sono quotate per tagliare i tassi di 350-600 punti base nei prossimi 12 mesi – il che significa che eventi atmosferici legati a El Niño relativamente forti potrebbero avere un certo impatto sui mercati finanziari. Dopotutto, a differenza dei mercati sviluppati, dove i policymaker tendono a non considerare gli effetti delle materie prime e a concentrarsi sull’inflazione core, le banche centrali emergenti sono storicamente sensibili ai movimenti dell’inflazione alimentare.
Le aspettative di tassi reali positivi offrono alle banche centrali dell’America Latina un certo margine di manovra. Le maggiori vulnerabilità sembrano essere nei paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO), dove i prodotti alimentari rappresentano un’ampia quota del paniere del CPI e i mercati sembrano prevedere tassi reali negativi. E in India, dove i prodotti alimentari rappresentano circa la metà del paniere CPI e le condizioni di siccità solleverebbero grossi dubbi sulla capacità del suo vasto settore agricolo di produrre cibo a sufficienza.