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Stati vegetativi: prima mappatura italiana dei percorsi di cura regionali

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medicoMilano, 12 febbraio 2015 – Anche se in Italia c’è una sola direttiva nazionale (le Linee Guida approvate nell’Accordo Stato Regioni del 2011), nelle singole regioni i pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza (i cosiddetti disordini della coscienza) seguono percorsi terapeutici e di cura anche molto diversi: è quanto emerge dai dati del Progetto nazionale INCARICO “Modello di integrazione socio-sanitaria nella presa in carico dei pazienti con disordine della coscienza”, partecipato e finanziato con fondi del Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano e presentato oggi a Roma in occasione della Giornata nazionale degli stati vegetativi.
[easy_ad_inject_1]Il progetto ha, tra i vari risultati raggiunti, permesso di realizzare una mappa, sinora assente, di 2542 strutture dedicate anche a questi pazienti in 11 regioni con l’indicazioni dei posti letto relativi e ha validato tre checklist utili per monitorare i nodi e i flussi nei servizi dei percorsi nella fase acuta, post acuta e degli esiti.

Lo scopo del progetto INCARICO è stato rilevare i percorsi di cura e di presa in carico presenti in diverse realtà regionali e analizzarne i fattori positivi e le criticità, anche in riferimento al percorso previsto a livello nazionale dall’Accordo Stato Regioni del 5 maggio 2011. Inoltre, è stato analizzato anche il percorso di cura realmente seguito da 90 pazienti nelle differenti regioni, per capire se e di quanto si è scostato da ciò che è stabilito dalla normativa nazionale e regionale.

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Sottolinea la dottoressa Matilde Leonardi, neurologo dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta” e coordinatrice del Progetto nazionale INCARICO: “A un bisogno, potremmo dire a un “diritto alla cura” – dettato dalla necessità di rispettare la dignità delle persone con disordini della coscienza e i bisogni dei loro familiari – deve corrispondere un “dovere di presa in carico” da parte delle istituzioni. Il progetto vuole fornire gli strumenti per supportare le istituzioni nell’attuare e nel farsi carico di questo “dovere necessario”. Non si propone un nuovo modello di presa in carico ma, approfondendo il significato di cura e presa in carico in diverse realtà italiane e valutando come diverse Regioni lo attuano, identificare, alla luce del modello ideale di presa in carico, i punti di forza e i punti di debolezza che possono portare a un modello di presa in carico attuabile in Italia”.

Il progetto è stato realizzato a partire dal 2012 in collaborazione con centri di riferimento di 11 regioni italiane (Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Umbria e Veneto), le 29 associazioni dei familiari de La Rete e della Federazione Nazionale delle Associazioni Trauma Cranici, il Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica, la Regione Lombardia e la Regione Emilia Romagna.

I risultati dello studio
Tutte le regioni che hanno partecipato al progetto INCARICO dimostrano di aver recepito, seppur con modalità differenti, le indicazioni presenti nell’Accordo Stato-Regioni. Emerge, tuttavia, la necessità di semplificare la normativa: infatti, per applicare una linea guida nazionale 11 regioni hanno ben 106 norme legislative locali.
Dieci delle undici regioni studiate hanno adottato la direttiva con delibere dedicate e la regione mancante, la Sicilia, ha espresso di farlo in un prossimo futuro.
L’applicazione di queste normative nella pratica clinica ha gradi diversi: nella cura delle persone nella fase acuta la normativa è seguita da tutte le regioni mentre solo sette su undici regioni hanno creato strutture dedicate a pazienti post-acuti. Anche per i pazienti nella fase degli esiti, per coloro che non sono più in pericolo di vita e che hanno terminato una fase di recupero, la situazione è disomogenea: solo quattro regioni (Calabria, Campania, Sicilia e Veneto) hanno attivato strutture di cura dedicate e sei (Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria e anche il Veneto) hanno attivato centri specifici all’interno di alcune Residenze Sanitario Assistenziali (RSA). Le restanti due regioni (Lazio e Puglia) non hanno attivato strutture dedicate per il trattamento dei pazienti nella fase degli esiti.

Anche rispetto al numero di strutture sul territorio per il trattamento dei pazienti e al numero di passaggi in cui si articola il percorso di cura la situazione nelle diverse regioni è molto diverse: Calabria, Campania e Sicilia concentrano il flusso dei pazienti in poche strutture e hanno pochi passaggi nel percorso di cura, mentre le altre regioni (Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria e Veneto) hanno un modello opposto con molti centri e molti nodi nel percorso.

Si tratta di un punto di vista parziale legato un numero di casi ristretto ma si può ricavare che nella maggior parte delle regioni c’è aderenza alla normativa, che varia dal 100% dei casi in Lazio al 67% della Liguria. Va segnalato che tale difformità è legata anche alla mobilità dei pazienti verso centri in altre regioni o stati. Questi movimenti mostrano alcune particolarità: l’Emilia Romagna ha pazienti solo in entrata mentre Puglia e Sicilia solo in uscita.

Tra le criticità segnalate dai familiari vi sono in Umbria, Puglia, Sicilia e Veneto il tempo intercorso nel passaggio tra una struttura e la successiva nel percorso di cura e la poca condivisione dei medici con i parenti nella scelta di questa destinazione.

Infine, un dato di rilievo è la diversa durata media dei tempi di ricovero: per la fase acuta si va da 18 giorni di ricovero in Liguria a 102 in Piemonte. Sebbene siano influenzati da numerose variabili (come le diverse condizioni cliniche del paziente), questi dati indicano anche da regione a regione organizzazioni di cura molto diverse.

Il lavoro svolto dai ricercatori di INCARICO mostra come la presa in carico globale di una persona che ha superato la fase acuta, prettamente sanitaria, e deve intraprendere un percorso di recupero quotidiano e reinserimento sociale, sia il vero snodo delle politiche della disabilità in Italia. Il progetto nazionale INCARICO offre gli strumenti necessari per tradurre i risultati della ricerca in azioni concrete per una presa in carico efficace e giusta su tutto il territorio nazionale e rispondere in modo da supportare i pazienti con disordini della coscienza e le loro famiglie in tutto il percorso di cura.

Stati vegetativi e di minima coscienza in Italia
Le rilevazioni più recenti oggi a disposizione stimano che in Italia le persone in stato vegetativo siano circa 3.000 mentre mancano dati certi di quanti pazienti siano in stato di minima coscienza. Tuttavia, è possibile stimare che siano almeno tre volte tanti, circa 10.000.
Lo stato vegetativo è una condizione clinica che insorge dopo uno stato di coma causato da un evento acuto (trauma, ictus, anossia cerebrale etc.). E’ caratterizzato da mancata coscienza di sé e mancata consapevolezza dell’ambiente circostante e dalla conservazione del ritmo sonno-veglia.
Secondo i più recenti studi neuroscientifici, tra cui quelli del Coma Research Center dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta”, non é possibile parlare in assoluto di irreversibilità della condizione. Tuttavia, quando la persona in questa condizione raggiunge la stabilità clinica ed entra in una fase di cronicità, deve essere considerata persona con “gravissima” disabilità.
Lo stato di minima coscienza è, invece, una condizione clinica caratterizzata da una grave compromissione della coscienza nella quale, tuttavia, possono essere individuati comportamenti finalizzati e volontari.
Istituto Neurologico Carlo Besta

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