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Tassi “più alti più a lungo” argineranno l’inflazione, la qualità è la strada maestra  

Paul Doyle, Responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments
Paul Doyle, Responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments
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A cura di Paul Doyle, Responsabile azionario large cap Europa di Columbia Threadneedle Investments

22.11.2023

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Stati Uniti, Europa, Cina e resto del mondo si muovono in direzioni diverse. Dagli Stati Uniti sono giunte sorprese economiche positive: la domanda di lavoro rimane superiore all’offerta, anche se si sta riallineando, l’indice ISM manifatturiero si è contratto per 10 mesi, mentre il PMI dei servizi si è espanso grazie alla solidità della spesa al consumo.

Figura 1 USA: la crescita dei salari sta rallentando

Settori privati  

Tempo libero e strutture ricettive

Fonte: BCA Research, 2023. Variazione percentuale delle retribuzioni orarie medie

I recenti dati sull’occupazione alimenteranno l’inflazione, pertanto i tassi d’interesse dovranno rimanere ad un livello di neutralità difficile da determinare. Tuttavia, l’inflazione USA dovrebbe diminuire. La Federal Reserve divide l’inflazione in tre categorie: beni, alloggi e servizi. Il primo di questi tre indicatori è al di sopra del livello tendenziale ma in calo; gli affitti, al momento stazionari o in discesa, sono un dato anticipatore dell’inflazione dei costi abitativi. I servizi, infine, sono una funzione dei salari, la cui crescita ha raggiunto il picco del 7% nel 2022 ed è ora pari al 4,5% (Figura 1). Il tasso di posizioni disponibili e di dimissioni è inoltre diminuito.

Affinché si verifichi un atterraggio morbido, le politiche monetarie delle banche centrali devono essere impeccabili. La Fed prevede che la disoccupazione raggiunga il picco al 4,1%, aumentando di aumento di mezzo punto. Incremento che, sulla base dei criteri adottati dalla stessa Banca Centrale,  scatenerebbe una recessione. Nei cicli precedenti il tasso di disoccupazione è salito in media di 280 punti base, non di 50.Se un rialzo di 500 punti base non provocasse una recessione sarebbe un evento senza precedenti storici (Figura 2).

Figura 2: tasso di disoccupazione USA (media a 3 mesi)

Fonte: BCA Research, 2023. Le aree ombreggiate indicano le recessioni registrate dal NBER; i cerchi indicano i periodi in cui la media a tre mesi del tasso di disoccupazione è aumentata di più di un terzo di punto percentuale rispetto ai minimi precedenti. Nel dopoguerra non è mai successo che la media del tasso di disoccupazione sia aumentata di oltre un terzo di punto percentuale senza che si avesse una recessione

I timori di tassi d’interesse “più alti più a lungo” stanno deprimendo le obbligazioni: a metà ottobre il rendimento del Treasury USA decennale ha toccato il 4,9%. Le azioni globali, di contro, sono scese del 10% dai massimi di luglio. Se si escludono i sette maggiori titoli tecnologici degli Stati Uniti e si applicano ponderazioni paritarie all’S&P500, che ha raggiunto il picco a febbraio ed è rimasto poi stazionario da inizio anno ad oggi.

I rendimenti decennali statunitensi sono saliti nel terzo trimestre sulla scia della decisione delle banche centrali di mantenere alti i tassi d’interesse. Inasprimento monetario sta dando i suoi frutti: i rendimenti dei prestiti a imprese e famiglie sono i più alti degli ultimi 15 anni.  Inoltre, le previsioni della Fed indicano un aumento dei tassi ufficiali reali a breve termine dall’1,3% al 2,5% entro la fine del 2024. Aumento che sta agendo sulle valutazioni azionarie, il cui premio al rischio dati i rendimenti attuali è il più basso dall’inizio degli anni ’70.

In generale, le azioni hanno registrato una buona performance quest’anno, confortate dal fatto che la recessione non è ancora arrivata. Ma lo scollamento tra i listini azionari e lo slancio economico sottostante suggerisce che i corsi azionari rischiano di scendere se l’attività economica non si riprenderà.

Europa
La crescita europea rimane debole a causa del rallentamento dell’Asia e della politica monetaria restrittiva: gli indici PMI manifatturieri e dei servizi restano sotto quota 50. L’inflazione complessiva e quella di fondo sono ancora elevate, rispettivamente al 4,3% e al 4,5%, ma l’indice dei prezzi alla produzione (PPI) e gli indicatori dei prezzi alla vendita segnalano una flessione. È probabile che i tassi della Banca centrale europea abbiano raggiunto il picco al 4%. La BCE ha affermato che se anche i rialzi sono finiti i tassi rimarranno elevati. Aumenti così imponenti sono un inedito, ed i livelli reali dei tassi si porteranno in territorio positivo con il calo dell’inflazione. In Europa gli standard di accesso al credito sono diventati restrittivi e la domanda privata di finanziamenti è diminuita. L’offerta di moneta si sta contraendo al ritmo più serrato dalla nascita dell’euro. Anche l’attività edilizia è in contrazione e le nuove licenze sono crollate, essendo questo settore il più sensibile ai tassi d’interesse.


La politica monetaria restrittiva sta agendo sull’economia proprio quando la crescita è debole. Il settore manifatturiero si sta contraendo a causa del calo delle esportazioni, e anche i servizi segnano il passo. Le tensioni sul mercato del lavoro persistono ma si stanno allentando; un rallentamento della crescita dei posti di lavoro raffredda la crescita dei salari. La componente occupazionale delle indagini UE relative al settore manifatturiero e a quello dei servizi mostra una diminuzione dei costi salariali e un aumento della disoccupazione. L’inflazione dovrebbe riportarsi entro l’obiettivo nel 2024, ma ciò non condurrà a tagli dei tassi. Le famiglie dell’UE hanno 1.500 miliardi di euro di risparmi in eccesso risalenti al periodo della pandemia.

Il calo dell’inflazione determinerà una crescita dei redditi reali. Ciò significa che, nonostante l’aumento della disoccupazione, le famiglie si sentiranno più agiate, con un effetto positivo sui consumi. È probabile che ciò avvenga di pari passo con la stabilizzazione della Cina, imprimendo slancio alle esportazioni. Le scorte globali sono basse, la deflazione cinese si sta attenuando e il renminbi si è deprezzato, il che stimola l’attività industriale globale e avvantaggia l’Europa. I rendimenti europei rimarranno su livelli più alti rispetto agli ultimi 10 anni. Le ore lavorate sono sui massimi storici e l’ONU prevede che nel 2030 la popolazione europea in età lavorativa conterà 12,4 milioni di persone in meno rispetto al picco del 2011. La disponibilità di lavoro diventerà scarsa nonostante l’immigrazione.

Questo significa che la spesa in conto capitale aumenterà e la politica fiscale sarà più accomodante. La spesa per la difesa, la transizione verde e l’onshoring per rinnovare il vecchio stock di capitale dovrebbero portare a un boom degli investimenti europei.  Il calo dell’offerta di lavoro e la solidità degli investimenti freneranno la crescita della disoccupazione e spingeranno al rialzo i salari reali. Ciò avrà effetti inflazionistici e dunque manterrà tassi e rendimenti su livelli più alti, impedendo alla BCE di allentare la politica monetaria. Gli investimenti, i deficit di bilancio e l’erosione dei risparmi dovuta all’invecchiamento della popolazione faranno salire il tasso d’interesse neutrale, come successo negli Stati Uniti. Il lavoro rappresenta il 60% dei costi aziendali, quindi la crescita dei salari comprimerà i margini, così come la spesa in conto capitale e l’onshoring comprimeranno i cash flow. La stabilizzazione delle scorte e dell’economia cinese potrebbe fornire una tregua all’Europa, ma un tasso d’interesse neutrale più alto si traduce in valutazioni azionarie più basse.

Cina
La crescita cinese non è proseguita dopo il rimbalzo post-Covid. L’economia sta rallentando: la crescita dell’aggregato M1 (offerta di moneta) è scesa al 3% e quella del PIL al 3,2%, e ciò significa che l’obiettivo del 5% per il 2023 potrebbe non essere raggiunto. Quest’anno il renminbi è sceso del 6% toccando il minimo dal 2009, e le esportazioni non hanno dato segnali di ripresa. La crescita del credito è anemica e il ritmo  dei finanziamenti sociali totali è il più lento dal 2002. Entrambi questi indicatori e quello riferito alla spesa pubblica sono sui minimi decennali. I PMI cinesi ufficiali dipingono un quadro ottimistico; l’indice di attività economica Yicai, tuttavia, suggerisce un contesto più fragile a causa dell’indebitamento del mercato immobiliare e del tiepido sostegno monetario e fiscale.

Il settore degli immobili residenziali è problematico e i prezzi alla produzione sono in calo. Salvo un intervento del governo, questa deflazione trascinerà al ribasso anche altri mercati emergenti. Le misure di stimolo, anche se limitate, e la ripresa delle scorte dovrebbero imprimere slancio, ma la Cina va incontro a diversi problemi strutturali: gli sviluppi geopolitici, l’onshoring verso gli Stati Uniti, il Giappone e l’Europa per i prodotti manifatturieri di fascia alta e il near-shoring degli Stati Uniti in Messico porteranno a un forte calo delle esportazioni di beni di fascia bassa.

Gli investimenti diretti esteri sono diminuiti. Gli immobili residenziali sono sopravvalutati e in una situazione di offerta eccedente, inoltre i costruttori sono più indebitati di quanto non accadesse in Giappone a fine anni ’80/inizi anni ’90. Le dinamiche demografiche sono preoccupanti: secondo le Nazioni Unite la popolazione attiva si ridurrà del 60% entro la fine del secolo. Si prospetta quindi uno scenario poco sostenibile, in cui servirebbe un’azione forte di sostegno da parte del governo centrale, che però non ha dato finora alcun segnale di voler intervenire.

Conclusioni
I rendimenti obbligazionari stanno schizzando verso l’alto per i motivi sbagliati: non per la forza della crescita ma per l’aumento del premio a termine, l’eccesso di offerta obbligazionaria e la diminuzione degli acquirenti dovuta al calo dei risparmi globali. I rendimenti sono in forte rialzo, ma la leadership non è ciclica. I rendimenti obbligazionari dovrebbero calare in parallelo alla moderazione dei mercati del lavoro e all’allentamento delle pressioni sui prezzi, ma ciò non sta accadendo.

Gli annunci di utile del terzo trimestre sono importanti e dobbiamo concentrarci sulle dichiarazioni previsionali. Le previsioni per il 2024 parlano di una crescita degli utili del 12% negli Stati Uniti e dell’8% in Europa. La crescita degli utili nel 2023 è stata scarsa, ma vi sono speranze di una ripresa. I prezzi di mercato non scontano delusioni.

Con i rendimenti reali su questi livelli, i rapporti prezzo/utili delle azioni statunitensi dovrebbero essere cinque punti sotto l’attuale livello di 18-19. Il cuscinetto valutativo è minimo. Il conflitto in Medio Oriente spingerà al rialzo il prezzo del petrolio e frenerà il calo dell’inflazione. In generale, l’espressione “tassi più alti più a lungo” riassume bene la politica monetaria statunitense. Il mercato prevede tagli di 80 punti base prima delle elezioni, ma l’unica ragione per la Fed di tagliare i tassi sarebbe un’economia debole.

Il tasso di disoccupazione statunitense è ai minimi storici ed è difficile immaginare l’avvio di un ciclo senza un azzeramento. A gennaio il consenso era ribassista perché allora l’economia era vigorosa, e ciò spiega l’apprezzamento da inizio anno ad oggi. I titoli ciclici e value hanno già registrato buone performance.

Nel mercato creditizio non vediamo ancora segnali di cambiamento radicale: gli spread sono sotto controllo. I pagamenti degli interessi nel settore societario sono in calo perché solo una ristretta cerchia di grandi aziende genera cassa, ma questo non vale per l’intero mercato. Le perdite delle banche statunitensi sulle obbligazioni detenute fino a scadenza sono passate dai 500 miliardi di dollari di marzo agli 800 miliardi di dollari di ottobre. Gli standard di erogazione dei prestiti si stanno inasprendo e ci troviamo in un periodo di transizione. Negli ultimi otto cicli di inasprimento della Fed i rendimenti obbligazionari sono scesi. Questo è un buon momento per approfittare di rendimenti più elevati.

Il quarto trimestre è un periodo stagionalmente propizio per le azioni. Nei mercati, l’energia ha già archiviato buone performance e anche le altre materie prime dovrebbero cominciare a fare meglio, così come i difensivi. I settori dei consumi – auto, compagnie aeree, vendita al dettaglio e tempo libero – registreranno performance disomogenee. L’Europa ha generato solide performance fino a maggio, ma ha poi perso metà di tali guadagni. L’aggregato M1, che è l’indicatore anticipatore per l’Europa, appare ancora debole.

Generalmente, passano 12-18 mesi dal punto di inversione della curva dei rendimenti prima che gli Stati Uniti entrino in recessione. La curva 10 anni/2 anni si è invertita a luglio 2022 e quella 10 anni/3 mesi a ottobre 2022. Il PPI globale e gli utili globali sono fortemente correlati. Di norma il PMI e le revisioni degli utili sono correlati, ma è venuto a crearsi uno scarto. O il PMI dell’eurozona rialza la testa, o gli utili dovranno essere rivisti al ribasso. 

Considerate le diverse prospettive in termini di inflazione, tassi d’interesse e crescita negli Stati Uniti e in Europa, i mercati azionari europei potrebbero nuovamente sovraperformare quelli statunitensi.

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